Seleziona una pagina

Il Disturbo da stress post-traumatico (in inglese PTSD, Post-Traumatic Stress Disorder), anche noto come sindrome da stress post traumatico, è una condizione patologica che può insorgere in seguito ad esperienze traumatiche, catastrofiche o violente vissute direttamente in prima persona, assistite in via diretta o indiretta oppure anche semplicemente apprese tramite i mass media o un proprio conoscente.

Ognuno di noi, nell’arco della propria vita, ha una probabilità non trascurabile di trovarsi a fronteggiare situazioni scioccanti, spaventose e apparentemente fuori dal nostro controllo, come essere coinvolti in un incidente stradale o rimanere vittime di un’aggressione fisica.

Vi è anche da dire che, per loro natura, alcuni specifici settori professionali, come quelli di forze dell’ordine, militari, vigili del fuoco e operatori sanitari, comportano un maggior rischio di esposizione ad eventi cruenti e traumatizzanti.

La maggioranza delle persone riesce a superare l’impatto angosciante dell’evento inaspettato senza dover ricorrere ad un aiuto qualificato. In alcuni casi, però, se il tormento interno persiste per oltre un mese dall’episodio traumatico e finisce con il compromettere significativamente la vita quotidiana, sociale o professionale dell’individuo, si può procedere con la diagnosi di PTSD e richiedere un intervento terapeutico con le modalità più opportune.

Nell’articolo ti illustrerò nel dettaglio i traumi psicologici minori e maggiori che possono stare dietro ai disturbi da stress post traumatici, i 4 gruppi di sintomi fisici più importanti che servono per effettuare una diagnosi, le principali tipologie di PTSD (incluso lo stress post traumatico nei bambini) e anche cosa fare in concreto per avviare il processo di guarigione partendo da una comprensione profonda della psicologia del trauma.

Entrando nel mondo del PTSD: trauma minore e trauma maggiore sotto la lente

Il Disturbo post traumatico da stress (PTSD) è una forma complessa di risposta ad eventi traumatici, che possono variare da esperienze minori a quelle più gravi.

Il trauma minore può derivare da eventi stressanti ma non necessariamente pericolosi per la vita o per l’incolumità fisica, come una separazione dolorosa, un lutto in famiglia, episodi di bullismo o un incidente lieve.

D’altro canto, il trauma maggiore coinvolge situazioni decisamente più gravi, come abusi, violenze o eventi naturali catastrofici.

A livello neurologico, il PTSD agisce sull’architettura delle reti neurali. L’esperienza di un trauma psicologico scatena una serie di reazioni chimiche nel cervello, influenzando la memoria, l’umore e la percezione del pericolo. Le reti neurali coinvolte nella gestione dello stress, come l’amigdala e l’ippocampo, possono essere in uno stato iperattivo o ipoattivo, creando una risposta amplificata agli stimoli associati al trauma o, al contrario, una difficoltà ad elaborare e memorizzare l’evento.

La vulnerabilità individuale, la rete di sostegno sociale e svariati altri fattori a contorno possono influenzare la modalità con cui una persona reagisce ad un evento traumatico, grande o piccolo che sia. Alcuni individui possono sviluppare sintomi di PTSD anche in risposta ad eventi che potrebbero sembrare meno gravi agli altri.

Comprendere la differenza tra trauma minore e maggiore rimane essenziale per la diagnosi e la gestione successiva del PTSD. Entrambi possono influenzare profondamente la salute psicofisica di un individuo, ma riconoscere ed affrontare il tipo di trauma specifico è il primo passo verso la guarigione.

Un supporto terapeutico, come la psicoterapia olistica che lavora sulle memorie emozionali inconsce, può svolgere un ruolo cruciale nella modifica delle risposte neurali e nell’aiutare le persone a ricostruire la propria vita dopo un’esperienza traumatica.

Disturbo post traumatico da stress e cervello

Il disturbo da stress post traumatico è una condizione complessa che influenza il nostro cervello in molteplici modi.

L’esposizione ad eventi traumatici scatena una risposta di allarme nel cervello, coinvolgendo regioni come l’amigdala e l’ippocampo, due strutture importanti del lobo temporale che appartengono al sistema limbico.

La prima, responsabile della gestione delle emozioni, con particolare riferimento alla paura e all’avversione, registra e associa il trauma ad una risposta di angoscia intensa. L’ippocampo, coinvolto nella memoria a breve e a lungo termine, all’orientamento, all’apprendimento e alla memoria spaziale, può invece essere danneggiato dallo stress prolungato, influenzando la capacità di gestire i ricordi traumatici.

Oltre a questo, il sistema nervoso autonomo può rimanere iperattivo nel PTSD, bloccando l’individuo in uno stato di allerta costante.

Nel PTSD si riscontrano comunemente alcuni squilibri neurochimici, in particolare l’aumento della produzione di neurotrasmettitori eccitatori come il glutammato e la diminuzione di messaggeri del benessere come la serotonina, che possono contribuire all’alterazione profonda dell’umore, all’ansia e all’aumentata reattività.

Studi di neuroimaging hanno evidenziato modifiche strutturali e funzionali a carico delle regioni cerebrali coinvolte nella regolazione emotiva, nell’attenzione e nella memoria delle persone con PTSD.

Disturbo post traumatico da stress, i sintomi fisici secondo il DSM-5

Se lo stress post traumatico di per sé non rappresenta una malattia, dal momento che dopo un trauma psicologico è del tutto normale sperimentare una risposta fisiologica alla tensione scatenata dall’evento, il disturbo da stress post traumatico è ben altra cosa che può anche portare a richieste di risarcimento danni, come nel caso dell’affondamento della nave da crociera Concordia

Nel disturbo post traumatico da stress più che sintomi fisici singoli si riscontrano gruppi di sintomi, detti anche cluster sintomatici.

La quinta edizione del Manuale diagnostico e statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5) richiede che la diagnosi di PTSD si basi sulla coesistenza di questi 4 cluster di sintomi, oltre naturalmente all’esposizione ad un evento traumatico in via diretta (vissuto cioè in prima persona) o indiretta (assistere ad un episodio traumatico accaduto ad altri o anche semplicemente venirne a conoscenza):

  • alterazione della qualità dei flussi di pensiero e delle emozioni, con presenza di rimuginio intrusivo;
  • messa in campo di comportamenti di evitamento e di elusione;
  • sintomi riconducibili ad una risperimentazione nel presente dell’episodio traumatico vissuto, di cui il più frequente è il flashback;
  • sintomi di iperattivazione (o arousal), riscontrabili anche in caso di disturbi d’ansia.

Prima di entrare nel dettaglio di questi 4 cluster, rispondiamo alla domanda su quali siano gli eventi particolarmente traumatici o stressanti che possono innescare un PTSD.

PTSD, le cause più comuni

Tra tutte le cause possibili in grado di dare origine ad un PTSD, sono certamente da ricordare:

  • l’esposizione a guerre, che coinvolge prevalentemente i soldati ma anche i giornalisti o gli stessi civili presenti nella zona;
  • l’esposizione a catastrofi naturali come eruzioni vulcaniche, terremoti, alluvioni lampo, incendi e valanghe;
  • gli incidenti automobilistici, aerei o con altri mezzi di trasporto;
  • le diagnosi gravi di malattia, in particolare se di natura oncologica: uno studio pubblicato dalla rivista Cancer e condotto su un centro oncologico malesiano ha evidenziato che il 22% dei pazienti malati di cancro manifesta sintomi di stress post traumatico;
  • il gaslighting, una forma di manipolazione psicologica e di abuso in cui una persona cerca deliberatamente di far dubitare alla vittima della propria percezione della realtà, della verità o perfino dei suoi pensieri;
  • il tradimento, inteso qui come un trauma che viene vissuto soprattutto dai bambini che subiscono violenza da parte dei caregiver da cui, invece, si aspetterebbero protezione;
  • lo stalking, in cui la vittima si trova a temere per la propria incolumità per via del carico costante di minacce e persecuzioni subite da parte dello stalker e può sviluppare disturbi del sonno e iperreattività.

Più in generale, hanno il potenziale di risultare traumatiche tutte le circostanze in cui si percepisce un pericolo per sé stessi o per una persona cara.

Alterazione negativa dei pensieri e del tono dell’umore

L’episodio traumatico traccia una sorta di spartiacque per molte vittime, definendo un confine netto tra il “prima” e il “dopo”, tra la dimensione della “salute” e quella della “malattia” che è intervenuta dopo lo shock intenso.

Da questa esperienza possono radicarsi nell’individuo svariate aspettative o convinzioni negative su sé stesso (“sono una persona malvagia”, “sono l’unico responsabile per quello che ho vissuto”), sugli altri (“è bene non fidarsi mai di nessuno”, “gli altri sono sempre pronti ad approfittarsi di me”, “la società è piena di persone egoiste che non meritano nulla”) e sul mondo circostante (“il mondo è pieno di insidie e non si può trovare rifugio da nessuna parte”, “il futuro non potrà portare niente di buono”).

La memoria stessa può subire significativi deterioramenti: in alcuni casi, la persona potrebbe non ricordare dettagli anche vasti del trauma, configurando la condizione nota come amnesia post-traumatica. Emozioni negative, come senso di colpa, paura, attacchi di rabbia, vergogna e depressione, diventano spesso compagni fedeli di questo percorso.

Nel tentativo di difendersi dal dolore, l’individuo potrebbe cercare una distanza dalle sue stesse emozioni, manifestando insensibilità, menefreghismo, apatia o un senso di estraniamento persino nelle relazioni con persone care o nelle attività che un tempo gli portavano godimento.

Comportamenti di evitamento

Nel contesto della sindrome post traumatica da stress, l’evitamento diventa una strategia chiave per gestire l’ansia e prevenire la riattivazione di ricordi traumatici. A tutti gli effetti rappresenta un meccanismo di difesa e protezione dell’individuo.

Si possono distinguere, in particolare, due forme principali di comportamenti di evitamento:

  • Comportamenti di evitamento esterni. Questa condotta coinvolge azioni concrete per ridurre la possibilità di esposizione a situazioni o stimoli legati al trauma. Ad esempio, un individuo potrebbe evitare luoghi specifici, persone o attività con il potenziale di attivare ricordi dolorosi o di entrare anche parzialmente in risonanza con questi. Le stesse relazioni interpersonali possono subire un impatto, con l’individuo che si ritira socialmente per minimizzare il rischio di situazioni che possano scatenare il disagio legato al trauma psicologico.
  • Comportamenti di evitamento interni. Questi comportamenti coinvolgono sforzi mentali per evitare i ricordi dolorosi, alcune specifiche istanze psichiche o le emozioni associate al trauma. Un individuo potrebbe cercare di bloccare i pensieri ossessivi, evitare la riflessione su dettagli specifici dell’evento traumatico o addirittura tentare di reprimere completamente i ricordi dolorosi. Tale evitamento interno può emergere anche nella forma di distorsioni cognitive, dove la persona sviluppa credenze irrazionali o pensieri distorti per proteggersi dal confronto diretto con la realtà del trauma.

Entrambi i tipi di comportamenti di evitamento sono strategie di coping che, sebbene inizialmente utili per gestire l’angoscia travolgente, nel lungo periodo non fanno altro che contribuire a mantenere il circolo vizioso del PTSD.

Affrontare e comprendere questi atteggiamenti è un passo significativo nel percorso terapeutico, consentendo all’individuo di sviluppare strategie più adattive per gestire il trauma ed iniziare a ricostruire una vita senza questo fardello.

Sintomi di risperimentazione dell’evento traumatico

Nonostante i comportamenti di evitamento che abbiamo appena visto, l’episodio scioccante ha la tendenza a bussare di nuovo alla porta della coscienza, in genere attraverso sintomi caratteristici di cui il più comune è il flashback.

I flashback sono episodi intensi e involontari, di natura palesemente intrusiva, in cui la persona rivive il trauma psicologico come se stesse effettivamente accadendo in quel momento. Questo fenomeno arriva in genere a rievocare sensazioni, immagini ed emozioni così vivide che la linea temporale tra passato e presente diventa sempre più sfocata.

Durante un flashback, la persona può percepire elementi specifici del trauma, sentirsi immersa in situazioni simili a quelle originarie o sperimentare un eccesso sensoriale di suoni, odori o immagini legate all’evento scioccante. La nitida ripetizione del passato è in grado di generare una risposta fisiologica analoga a quella vissuta durante l’esperienza traumatica iniziale, innescando forti reazioni di ansia, paura e stress.

Il flashback in genere è innescato da un trigger psicologico, o evento scatenante, un elemento esterno o interno che evoca ricordi e sensazioni legate all’evento traumatico.

Questi trigger possono essere di varia natura e includere situazioni, luoghi, persone, odori, suoni o anche pensieri specifici che hanno una qualche connessione con l’esperienza traumatica. Il cervello interpreta il trigger psicologico come un segnale che indica la minaccia imminente, attivando il sistema di risposta al pericolo.

Ad esempio, se una persona ha subito un incidente stradale traumatico, il semplice suono di un clacson potrebbe agire come un trigger. Quando sente quel rumore, il soggetto sperimenta all’istante un flashback con la percezione nitida dei rumori legati all’incidente, la sensazione di shock e le emozioni angoscianti associate.

È cruciale riconoscere e comprendere questi sintomi e trigger psicologici per una gestione efficace della sindrome post traumatica da stress, dal momento che gli stessi flashback possono avere un impatto significativo sulla qualità della vita e sul benessere psicologico dell’individuo.

Sintomi di iperattivazione, o arousal

L’essere umano è stato programmato dalla sua lunga evoluzione per reagire con il combattimento o con la fuga nel momento in cui si trova di fronte ad un pericolo. In entrambi i casi, quando la situazione temibile viene a cessare oppure si allontana, lo stato di attivazione che ha fornito carburante prezioso alla risposta combatti o fuggi dovrebbe anch’esso placarsi e tornare alla situazione precedente all’esposizione al pericolo.

In realtà, ciò che accade quanto un evento traumatico si trova incastonato nelle reti neurali di un individuo, è la persistenza di questo stato di iperattivazione anche in assenza di pericolo esterno.

I sintomi dell’attivazione (arousal) rappresentano quindi una risposta fisiologica ed emotiva amplificata, spesso correlata ad una sovra-stimolazione del sistema nervoso simpatico.

Per essere più precisi, possiamo ripartire questi sintomi in diverse categorie:

  1. Difficoltà nel sonno. L’iperattivazione può manifestarsi attraverso insonnia, incubi frequenti o un sonno interrotto più volte. Le persone con PTSD possono sperimentare difficoltà a rilassarsi sufficientemente per addormentarsi, oppure possono risvegliarsi spesso durante la notte.
  2. Irritabilità e rabbia. Un altro sintomo comune è la tendenza ad essere facilmente irritabili, nervosi o arrabbiati. Le situazioni quotidiane possono scatenare una risposta emotiva anormalmente intensificata, con la sensazione di vivere in uno stato di allerta costante.
  3. Difficoltà nella concentrazione. L’iperattivazione influisce sulla capacità di concentrarsi e di mantenere l’attenzione su compiti specifici. Questo può compromettere le prestazioni lavorative o accademiche e influenzare le relazioni interpersonali.
  4. Reattività esagerata. La reattività fisiologica può aumentare, con un frequente senso di allarme e una risposta di combattimento o fuga intensificata anche in situazioni che non presentano alcun pericolo reale.
  5. Sintomi fisici veri e propri. L’arousal si manifesta attraverso sintomi fisici come palpitazioni, sudorazione e tremori. Queste manifestazioni sono parte della risposta del corpo al pericolo percepito.

Tutti questi sintomi di iperattivazione o iper-arousal riflettono il modo in cui l’apparato psicofisico reagisce ad un ambiente individuato come insidioso, anche se il pericolo non è più presente.

Il quadro sintomatologico complessivo descritto sopra, per essere considerato concreto e compatibile con un profilo da PTSD, deve comunque dimostrare persistenza per almeno un mese, generare una significativa sofferenza e interferenza con il normale funzionamento della persona in ambiti cruciali della sua vita, ma anche non essere ascrivibile agli effetti di sostanze psicotrope o a condizioni mediche sottostanti.

Disturbo da stress post traumatico, le principali tipologie

In alcune casistiche, i sintomi tipici del PTSD possono declinarsi secondo una di queste quattro tipologie o sottotipi particolari:

  • PTSD con sottotipo dissociativo. Oltre ai sintomi centrali del disturbo, si osservano segni durevoli di dissociazione. Questo può includere la depersonalizzazione, con la percezione di distacco dal proprio corpo o la sensazione di essere uno spettatore esterno di sé stessi, e la derealizzazione, con l’ambiente circostante che appare irreale o distorto, come se il soggetto fosse immerso in una dimensione onirica. La dissociazione può essere impiegata come meccanismo di sopravvivenza durante il trauma e persistere anche successivamente come uno scudo emotivo.
  • PTSD a espressione ritardata. Nonostante alcuni eventuali segni precoci, i sintomi di questo disturbo si palesano completamente non prima di 6 mesi dall’esposizione al trauma psicologico. In alcuni casi, l’intero quadro sintomatologico può emergere solo molti anni o decenni dopo il vissuto traumatico, come osservabile negli adulti che sviluppano il PTSD in risposta a traumi subiti durante l’infanzia. In questa tipologia il nesso causale rimane molto più complesso da tracciare con esattezza e richiede spesso un lavoro di scavo psicologico dedicato.
  • PTSD complesso (C-PTSD). Questa tipologia è fortemente correlata ai traumi precoci di natura interpersonale e cronica. Maltrattamenti prolungati perpetrati da una figura di accudimento (o caregiver), violenze reiterate o gravi tradimenti (si può qui citare il betrayal trauma o “trauma da tradimento” descritto dalla psicologa americana Jennifer Freyd) sono tra gli elementi scatenanti più comuni. Anche se l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) non lo ha riconosciuto come un sottotipo vero e proprio dei disturbi da stress post traumatici, il C-PTSD è considerato un disturbo indipendente regolarmente incluso nell’undicesima edizione della Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD-11).
  • PTSD nei bambini. Anche i bambini possono sperimentare il PTSD, ma le manifestazioni sintomatiche variano rispetto agli adulti e rimangono più ardue da decifrare.

Nella prossima sezione andrò ad approfondire il disturbo PTSD nei bambini, dal momento che la particolare delicatezza di questa condizione merita una trattazione dedicata.

Il PTSD nei bambini e il fenomeno delle rievocazioni intrusive, o flashback

Il disturbo da stress post traumatico nei bambini è un aspetto delicato e significativo della psicologia infantile, con manifestazioni e implicazioni da gestire con la massima attenzione.

I bambini possono sperimentare PTSD a seguito di eventi traumatici come abusi, incidenti gravi, eventi naturali catastrofici o situazioni di violenza. A differenza degli adulti, i bambini potrebbero non esprimere il loro disagio in modo esplicito o verbale, ma attraverso comportamenti anomali o regressivi anche nel contesto del gioco e sogni traumatici ricorrenti.

Questi episodi possono essere così vividi da provocare una forte reazione emotiva, tra cui paura, ansia fino ad arrivare ad un vero e proprio attacco di panico.

Il fenomeno dei flashback, o rievocazioni intrusive, nei bambini con stress post traumatico risulta in genere complesso. Come abbiamo visto prima, i flashback sono esperienze intense e involontarie di ricordi traumatici, dolorosi e disturbanti che possono ripresentarsi nella psiche della persona come se stesse rivivendo l’evento originario.

Nei bambini, i flashback emergono sovente come ricordi intrusivi durante il giorno o attraverso incubi notturni, che possono compromettere il sonno e influire sulla qualità della vita quotidiana, ma anche peggiorare la condotta, l’attenzione e la concentrazione a scuola.

Le rievocazioni intrusive sono in genere scatenate da stimoli, o trigger psicologici, che ricordano l’evento traumatico, ma possono anche manifestarsi in modo imprevisto, causando notevoli difficoltà.

La gestione del PTSD nei bambini coinvolge in genere un approccio multifattoriale. La psicoterapia adattata all’età può essere efficace, aiutando i bambini a comprendere e gestire le proprie emozioni. La terapia del gioco e l’espressione attraverso l’arte possono essere metodi utili per consentire loro di comunicare i propri sentimenti in modi non verbali e adattati alla loro età. Il coinvolgimento della famiglia è altrettanto cruciale per fornire un ambiente di supporto e sicurezza.

Disturbo post traumatico da stress prolungato

Il disturbo post traumatico da stress prolungato, o cronico, rappresenta una variante del PTSD in cui i sintomi persistono per un periodo esteso di tempo, spesso oltre i 12 mesi.

A differenza del PTSD “classico”, che potrebbe risolversi nel tempo almeno per alcune persone, il PTSD prolungato è caratterizzato dalla persistenza e dall’aggravarsi dei sintomi nel corso del tempo. Questo sottotipo di PTSD comporta un impatto significativo sulla vita quotidiana, con sintomi che interferiscono profondamente con il funzionamento sociale, lavorativo e relazionale dell’individuo.

Tra i sintomi comuni del PTSD prolungato, oltre a quelli già visti in precedenza, troviamo un’iperattivazione persistente e l’alterazione della reattività agli stimoli, con tendenza a frequenti attacchi di rabbia, risposte di allarme esasperate (come se la persona avesse paura di ogni cosa), grande difficoltà nella concentrazione mentale e comportamenti di autodistruzione.

Disturbo post traumatico da stress percentuale invalidità

La valutazione della percentuale di invalidità in una persona che presenta un disturbo da stress post-traumatico (PTSD) deve tenere conto della gravità dei sintomi e del loro impatto sul funzionamento quotidiano dell’individuo.

La scala di valutazione può variare a seconda della legislazione e delle linee guida locali. In molte giurisdizioni, la percentuale di invalidità associata al PTSD è influenzata da diversi fattori, tra cui la gravità dei sintomi, la frequenza degli episodi sintomatici, l’impatto sulla vita lavorativa e sociale e l’efficacia della risposta agli interventi terapeutici.

Per assegnare una percentuale di invalidità, gli esperti considerano in genere il grado di compromissione funzionale, che può includere difficoltà nell’ambito lavorativo, nelle relazioni interpersonali e nel prendersi cura di sé stessi.

È importante sottolineare che la valutazione dell’invalidità non è solo basata sulla presenza del disturbo, ma anche sulla sua interferenza con la qualità della vita quotidiana.

Ad esempio, un individuo con PTSD che ha difficoltà a mantenere un impiego a causa di sintomi ricorrenti potrebbe ricevere una percentuale di invalidità più elevata rispetto a chi, pur sperimentando il disturbo, riesce a svolgere normalmente le proprie attività lavorative.

Disturbo post traumatico da stress, guarigione

La psicologia del trauma si occupa di studiare gli effetti psicologici e comportamentali derivanti da esperienze traumatiche, fornendo strumenti terapeutici per il recupero e il risanamento.

La guarigione dal disturbo da stress post traumatico (PTSD) rimane un processo complesso e individuale, che coinvolge una combinazione di interventi terapeutici e attivazione di specifiche risorse personali.

La terapia dell’esposizione graduale, che consente all’individuo di affrontare progressivamente gli elementi legati al trauma, è un componente chiave di molti protocolli terapeutici.

Il sostegno sociale gioca un ruolo certamente non trascurabile nel processo di guarigione. Relazioni di fiducia, comprensione e supporto emotivo contribuiscono a mitigare l’isolamento e a fornire un ambiente sicuro per esplorare e affrontare quella complessa dimensione emotiva legata al trauma.

Alcune tecniche di gestione dello stress, come la mindfulness, la pratica del radicamento e la meditazione in generale, favoriscono senza dubbio il rilassamento e migliorano la consapevolezza emotiva. In alcuni casi, l’approccio farmacologico può essere parte del piano di trattamento, soprattutto per gestire sintomi specifici come ansia e disturbi del sonno nel momento in cui superano una determinata soglia.

È anche bene ricordare che la guarigione non implica necessariamente la cancellazione del trauma, ma piuttosto la capacità di integrare l’esperienza dolorosa nella propria storia di vita in modo da sanare la frattura interna.

La psicoterapia olistica nella gestione dello stress post traumatico

La Psicoterapia Olistica si distingue per il suo approccio integrato che considera l’individuo nella sua totalità, coinvolgendo allo stesso tempo le dimensioni di mente, corpo e spirito.

Nel contesto del Disturbo da Stress Post-Traumatico la psicoterapia olistica si rivela una preziosa alleata nel processo di guarigione, concentrandosi su diversi aspetti chiave:

  1. Approccio psicosociale. L’approccio olistico in psicologia esamina l’impatto del trauma contemporaneamente sul livello fisico, psicologico e sociale. Questo orientamento completo e inclusivo aiuta ad identificare e trattare una gamma più ampia di sintomi e casistiche che il paziente si può trovare a sperimentare.
  2. Lavoro sulle memorie emozionali e traumatiche. La psicoterapia olistica include tecniche specifiche per lavorare sulle memorie emozionali e dolorose. La terapia EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) è il metodo cardine che mira a ridurre il potere disturbante delle memorie traumatiche e a ripristinare l’equilibrio eccitatorio/inibitorio attraverso movimenti oculari guidati da una stimolazione bilaterale. L’obiettivo è di consentire al cervello di scongelare l’informazione ibernata legata al trauma psicologico e avviare l’elaborazione di queste informazioni in modo più adattivo. Per un approfondimento sul protocollo EMDR e le sue 8 fasi ti rimando all’articolo dedicato.
  3. Mindfulness e meditazione. Queste pratiche sono spesso integrate a pieno titolo in un percorso di psicoterapia olistica e in linea generale il paziente le può applicare in piena autonomia tra una seduta e l’altra. Calmare la mente ed espandere la consapevolezza nel Qui-ed-Ora aiuta senza dubbio a smorzare l’effetto destabilizzante di determinati ricordi angoscianti, anche se di per sé ovviamente non può guarirli.
  4. Espressione creativa. L’utilizzo di manifestazioni creative, come l’arteterapia o la scrittura, può fornire un canale alternativo per l’espressione emotiva e la riflessione sul proprio percorso.
  5. Approccio integrato alla salute psicofisica. La psicoterapia olistica riserva una particolare attenzione anche alla salute del corpo fisico, incoraggiando pratiche come l’esercizio regolare, una dieta equilibrata basata principalmente su alimenti il più possibile naturali e reali ed un aumento della qualità del sonno. Un corpo sano è una delle basi imprescindibili per avere maggiore forza e focalizzazione mentale.

Il lavoro impostato con la psicoterapia olistica non si limita quindi alla semplice gestione dei sintomi, che vengono sempre interpretati e rivisti in un’ottica di ascolto e di integrazione del messaggio che veicolano.

Il sintomo è sempre psico-logico, ovvero ha una sua logica nell’economia della psiche e delle sue espressioni. In alcuni casi come questo può essere anche molto invalidante per la qualità di vita del soggetto, ed è proprio qui che un intervento più tempestivo risulta del tutto auspicabile, talora anche necessario.

Se viene guarita la condizione disturbante sottostante, il sintomo stesso diventerà superfluo e verrà letteralmente rilasciato dall’organismo che non ne ha più bisogno. La psiche lascerà letteralmente andare un processo che non è più utile, anche per una prospettiva di economia delle proprie energie.


Se vuoi più informazioni sulla Psicoterapia Medica Olistica oppure prenotare la prima seduta con me, puoi compilare il modulo di contatto che trovi all’inizio della Pagina Contatti.

Foto professionale della Dott.ssa Elisa Scala, medico psicoterapeuta a Novara
Ricevo a Novara e online

Medico psicoterapeuta

Sono iscritta all’Albo Professionale dei Medici dall’anno 2008 ed esercito la professione di Psicoterapeuta sia per mezzo di sedute online (via Zoom o Skype) che in presenza nel mio Studio privato vicino al centro storico di Novara.

Perché rivolgersi ad un medico psicoterapeuta?

Grazie alla sua duplice formazione medica e psicoterapeutica, un medico psicoterapeuta è in grado di valutare il paziente non solo dal punto di vista meramente psicologico, ma anche di considerare eventuali fattori biologici, medici e farmacologici che possono influenzare il disturbo, conflitto interiore o disagio portato dal paziente.

Questo permette una presa in carico olistica, in cui si possono trattare problematiche emotive, psichiche e fisiche in modo sinergico, personalizzando il percorso terapeutico per ottenere risultati più efficaci e duraturi.

I vantaggi tangibili per il paziente consistono in tempi mediamente più brevi rispetto alla psicoterapia tradizionale e senza limitarsi a quella che potrei definire come “terapia dell’ascolto”.

Dott.ssa Elisa Scala, medico psicoterapeuta a Novara