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Gli stili di attaccamento infantile sono delle modalità specifiche con cui un bambino vive il suo rapporto con i genitori o con i cosiddetti caregiver, le figure di riferimento chiamate a fornirgli supporto e accudimento. Il tipo di attaccamento sperimentato va a plasmare le modalità con cui poi, da adulto, gestirà le proprie emozioni e si comporterà nelle relazioni interpersonali e sentimentali.

La necessità di amore che ci accompagna fin dalla nascita, se non adeguatamente soddisfatta, può generare un vuoto interiore che tenteremo poi di riempire in vari modi, a volte sani, altre meno.

Al cuore di parecchie malattie o sintomi, a ben guardare, c’è proprio una mancanza d’amore ed il nostro corpo che letteralmente la urla verso l’esterno.

Questi stili sono alla base della teoria dell’attaccamento elaborata dal famoso psicoanalista britannico John Bowlby negli anni ’50 del secolo scorso, che ha rivoluzionato la nostra comprensione delle interazioni umane, mettendo in luce l’importanza chiave dei primi anni di vita nella formazione della personalità e delle modalità relazionali.

I modelli operativi interni di Bowlby forniscono una struttura concettuale utile per comprendere come le esperienze di attaccamento infantile possano plasmare le nostre aspettative e comportamenti nelle relazioni future, oltre alla percezione di sé nell’età adulta.

In questo articolo ti spiegherò nel dettaglio i 4 stili di attaccamento alla base della teoria dell’attaccamento di Bowlby, i modelli operativi interni che ne derivano, nonché tutte le conseguenze destabilizzanti di un attaccamento insicuro in età adulta.

Nella seconda parte vedremo come la psicoterapia olistica può condurre il paziente in una prima fase ad identificare i propri eventuali vuoti interiori derivanti da modelli di attaccamento insicuro, ansioso o evitante e, successivamente, a lavorare per costruire un maggiore senso di sicurezza e smettere di ricercare costantemente rassicurazioni dall’esterno.

La Teoria dell’Attaccamento di Bowlby

John Bowlby, attraverso le sue ricerche, ha postulato che i bambini nascono con un sistema comportamentale innato che li spinge a cercare la vicinanza e la protezione di una figura di attaccamento nei momenti di bisogno.

In psicologia, il termine “attaccamento” fa riferimento diretto proprio ai modelli di comportamento nelle relazioni che si sviluppano durante l’infanzia.

L’attaccamento è un impulso innato al contatto, un bisogno fondamentale di vicinanza fisica ed emotiva, e il modo in cui questo bisogno è stato soddisfatto o meno dalle nostre figure di riferimento durante l’infanzia condiziona profondamente il nostro modo di vivere e di interagire con gli altri quando diventiamo adulti.

Questo comportamento di attaccamento è cruciale per la sopravvivenza e lo sviluppo emotivo del bambino. Non dobbiamo dimenticare che in quegli anni di vita avere qualcuno che ci accudisce è di importanza vitale, dal momento che la possibilità stessa di sopravvivere dipende da questo.

Bowlby ha osservato che la qualità del legame tra il bambino e il caregiver (quasi sempre la madre) costruisce il suo modello operativo interno, una sorta di schema mentale che influenza le aspettative e i comportamenti futuri.

“I bambini fanno più o meno qualsiasi cosa per sentirsi visti e connessi.”

Bessel Van Der Kolk

Secondo Bowlby, l’attaccamento si sviluppa attraverso una serie di fasi durante i primi anni di vita e può essere influenzato dalle risposte specifiche della madre alle necessità del bambino. Un attaccamento sicuro si forma quando la persona che lo accudisce è sensibile e responsiva ai suoi bisogni, fornendo un rifugio garantito o porto sicuro da cui può muoversi per esplorare il mondo ed affrontare tutte le sfide della vita.

Per Bowlby, la sopravvivenza dell’essere umano ha nei legami emotivamente sicuri uno dei pilastri fondamentali ed irrinunciabili.

I 3 pilastri intorno a cui ruota la teoria dell’attaccamento

La relazione di accudimento madre bambino è quel terreno fertile da cui emerge il Sé e si inizia a formare l’identità personale, risultando quindi di importanza cruciale.

L’amore dal punto di vista dell’attaccamento si sviluppa attraverso le prime interazioni con la figura che maggiormente si prende cura del piccolo fin dai primissimi mesi di vita, ed è proprio in questo lasso di tempo che si iniziano a modellare i pilastri fondanti della personalità.

La teoria dell’attaccamento si incentra su 3 elementi fondamentali:

  • La ricerca di prossimità, che si riferisce al bisogno istintuale e innato del bambino di avvicinarsi e mantenere poi la vicinanza con il caregiver, soprattutto in momenti di stress o pericolo, al fine di sentirsi protetto e rassicurato.
  • Il porto sicuro è il rifugio o punto di riferimento stabile e protetto fornito dal genitore al bambino, da cui quest’ultimo potrà poi andare in avanscoperta del mondo circostante, sapendo di avere sempre la possibilità garantita di tornare in caso di necessità.
  • La figura di attaccamento che fornisce un legame emotivo capace di garantire un senso di sicurezza e di stabilità, dal cui allontanamento deriva un’ansia da separazione che rappresenta la paura e il disagio esperito dal piccolo in quel momento.

Questi tre elementi si combinano tra loro per formare il modello operativo interno del bambino, che approfondiremo più avanti.

I 4 stili di attaccamento secondo Mary Ainsworth

Mary Ainsworth (1913-1999), psicologa canadese dello sviluppo e stretta collaboratrice di Bowlby, ha elaborato ulteriormente la teoria identificando 4 stili di attaccamento principali: sicuro, insicuro-evitante, ansioso o insicuro-ambivalente e disorganizzato.

Come possiamo vedere, una prima distinzione fondamentale è tra attaccamento sicuro e insicuro, che determina la presenza o meno di quel porto sicuro psicologico che il bambino può utilizzare come base da cui perlustrare l’ambiente che lo circonda.

Questi 4 stili emergono già nelle primissime interazioni del bambino e vanno a determinare una personalità più o meno tormentata e conflittuale.

“Il lattante non esiste, ma esiste una relazione tra il bambino e la madre: all’inizio il bambino è l’ambiente e l’ambiente è il bambino.”

Donald Winnicott

Passiamo adesso ad approfondire le 4 tipologie di attaccamento.

L’attaccamento sicuro

Gli individui con un attaccamento sicuro tendono ad avere fiducia nelle proprie relazioni e a sentirsi a proprio agio sia nell’intimità che nei momenti di lontananza fisica o emotiva dagli altri.

Non temono la solitudine interiore o lo stare fisicamente da soli, anche perché non hanno difficoltà particolari a beneficiare della presenza degli altri nel momento in cui lo desiderano.

Questo stile si sviluppa quando il caregiver è costantemente disponibile e responsivo rispetto ai bisogni del bambino, fornendogli un ambiente stabile e rassicurante, ovvero ciò che abbiamo già definito come un porto sicuro.

Una tipologia di attaccamento sicuro si manifesta tipicamente con queste 3 caratteristiche:

  • Facilità a costruire e mantenere relazioni interpersonali strette.
  • Capacità di gestire le emozioni in modo sano senza esserne travolti o sballottati.
  • Tendenza a cercare ed offrire supporto nelle relazioni.

Come è facile intuire, i problemi psicologici ed i conflitti associati emergono in presenza di una tipologia di attaccamento insicuro, che andiamo adesso a vedere.

L’attaccamento insicuro evitante

Gli individui con stili di attaccamento infantile insicuro-evitante tendono ad evitare l’intimità e a dover fare affidamento solo su sé stessi. Questo modello si sviluppa quando la persona che fornisce supporto emotivo, cure e senso di sicurezza rimane emotivamente distante o rifiuta le necessità affettive del bambino.

Se l’ambiente circostante è fonte di dolore e frustrazione, meglio cercare di rivolgersi verso le proprie risorse interne, chiedendo loro in qualche modo di “fare gli straordinari”.

In questo caso, tra l’altro, nell’adulto tenderà ad annidarsi una parte che ancora urla la propria disperazione per il mancato accoglimento, che non si sente mai ascoltata e che rivive quel dolore tutte le volte che si riattiva per risonanza.

Tutto ciò che alberga nel nostro profondo può affiorare anche all’improvviso nel momento in cui le condizioni esterne vanno ad evocarlo.

Questo stile porta senza dubbio con sé un disturbo dell’attaccamento che merita un lavoro psicologico dedicato.

Attaccamento evitante, sintomi

L’attaccamento evitante è uno stile relazionale che si sviluppa spesso a seguito di esperienze nei primi anni di vita in cui i bisogni emotivi del bambino non sono stati adeguatamente soddisfatti.

I 3 sintomi da considerarsi come espressione tipica di un modello di attaccamento evitante sono:

  • Resistenza ad entrare nella dimensione più intima delle relazioni.
  • Tendenza a sopprimere le emozioni e ad evitare il confronto con gli altri.
  • Propensione all’autosufficienza, intesa come il dipendere il meno possibile dal prossimo.

A tutti gli effetti, questo stile di attaccamento modella quella che in psicologia viene chiamata personalità evitante.

Attaccamento evitante in amore

In amore, una persona con attaccamento evitante tende a mantenere una distanza emotiva dal partner, rifuggendo la sfera intima e preferendo utilizzare le proprie risorse senza dover chiedere niente all’altro.

Questi individui temono di diventare vulnerabili o dipendenti dal partner, spesso razionalizzando i sentimenti e mettendo una barriera tra sé stessi e l’altro per proteggersi da potenziali ferite emotive.

La personalità evitante in amore si spiega con il tentativo di scongiurare il rischio di rivivere quel dolore antico che ha radici nei primi anni di vita, quando il movimento legittimo verso il caregiver è stato frustrato dalla sua indifferenza, incostanza e incapacità di fornire un posto sicuro.

Questo stile di attaccamento non fa che causare difficoltà nella costruzione di relazioni profonde e soddisfacenti perché dall’altra parte quasi sempre si percepisce freddezza o rifiuto. Del resto, non è facile stare a lungo in una relazione con un partner evitante.

Attaccamento evitante, esempi pratici

L’attaccamento evitante nell’adulto si manifesta con il mantenimento di una distanza emotiva dagli altri allo scopo di evitare quanto più possibile di rivivere quel dolore infantile.

Ad esempio, una persona con attaccamento evitante potrebbe rifuggire dalle conversazioni intime, preferendo parlare di argomenti superficiali per non rivelare troppo di sé o lasciando che siano soprattutto gli altri a parlare.

In una relazione di coppia, potrebbe sembrare fredda o distaccata, sottraendosi al contatto fisico e ai gesti affettuosi. Sul lavoro, potrebbe preferire muoversi in modo indipendente, rifiutando l’aiuto dei colleghi e mostrando difficoltà a collaborare all’interno di un team.

In situazioni di stress emotivo, tende a ritirarsi e a non condividere le proprie preoccupazioni, apparendo insensibile o indifferente quando in realtà sta solo cercando di proteggere sé stessa da possibili ulteriori sofferenze.

Dobbiamo sempre ricordare che il movimento di allontanamento dal dolore è uno dei due motori più potenti alla base del comportamento umano.

Queste dinamiche sono spesso radicate in esperienze di infanzia in cui il bambino ha imparato che esprimere le proprie emozioni non portava ad un supporto adeguato da parte delle figure di accudimento, diventando quindi un motivo di frustrazione e di dolore.

Attaccamento ansioso o insicuro ambivalente

Gli individui con un attaccamento insicuro ambivalente, a volte detto anche ansioso ambivalente, tendono ad essere insicuri e a cercare costantemente rassicurazione nelle relazioni. Questo stile si sviluppa quando il genitore o la figura di riferimento è incoerente nella sua disponibilità, a volte affettuosa e altre volte distante.

A differenza dell’attaccamento evitante, qui lo stile è più complesso proprio alla luce degli alti e bassi continui nell’accudimento. A volte c’era ed era nutritivo, altre volte no. L’aver beneficiato almeno in parte di un attaccamento sicuro porta ad una maggiore dipendenza, ma anche al timore di soffrire ancora di più nella fase di allontanamento.

I 3 tratti distintivi di questo tipo di attaccamento sono:

  • Tendenza ad essere eccessivamente dipendenti dagli altri.
  • Preoccupazione costante che ruota intorno all’abbandono o al rifiuto.
  • Difficoltà a fidarsi e a sentirsi sicuri nelle relazioni.

L’attaccamento ambivalente nell’adulto

L’attaccamento ambivalente nell’adulto si manifesta con un’insicurezza pervasiva ed una forte dipendenza emotiva nelle relazioni.

Gli individui con questo stile di attaccamento tendono a cercare costantemente garanzie da parte del partner, temendo l’abbandono ed il venir meno dell’affetto. Questa paura li porta ad essere ipersensibili ai segnali di rifiuto, spesso interpretando in modo negativo anche le situazioni in realtà neutre.

Possono mostrare un bisogno incessante di vicinanza e contatto, ma allo stesso tempo vivere momenti di forte frustrazione e rabbia quando sentono di non ricevere l’attenzione desiderata. Le relazioni sentimentali diventano così particolarmente tumultuose e stressanti.

Attaccamento disorganizzato

Gli individui con stili di attaccamento disorganizzato mostrano comportamenti caotici ed imprevedibili nelle interazioni con gli altri. Questo stile si sviluppa spesso in contesti di abuso o trascuratezza, dove la figura di riferimento è in realtà una fonte di paura o angoscia piuttosto che di sicurezza.

Questo tipo di attaccamento può rendere il bambino più suscettibile a sviluppare la sindrome dell’abbandono che potrebbe accompagnarlo nella vita adulta.

Le 3 caratteristiche principali di uno stile di attaccamento disorganizzato sono:

  • Comportamenti contrastanti e confusi nelle relazioni.
  • Paura e sfiducia nei confronti delle figure di attaccamento.
  • Difficoltà nel regolare le onde emotive interne.

L’attaccamento disorganizzato nell’adulto

L’attaccamento disorganizzato nell’adulto si manifesta attraverso una serie di comportamenti e reazioni emotive instabili e contraddittorie nelle relazioni interpersonali.

Gli adulti con questo disturbo dell’attaccamento spesso mostrano un’alternanza complessa di desiderio di vicinanza e paura del rifiuto, portando a relazioni stile montagne russe, con alti e bassi che si susseguono a stretto giro.

Queste persone rimbalzano da momenti di grande affetto e intimità a periodi di distanza emotiva e freddezza, creando confusione e frustrazione nei loro partner.

Un’instabilità di questa fattura deriva spesso da esperienze traumatiche o incoerenti con i caregiver durante l’infanzia, che hanno impedito lo sviluppo di un modello di attaccamento sicuro.

Gli adulti con attaccamento disorganizzato possono anche avere difficoltà a gestire lo stress e le emozioni in generale, manifestando comportamenti autolesionistici e dipendenze comportamentali o da sostanza come tentativi surrogati di affrontare il disagio interno che li tormenta.

I modelli operativi interni di Bowlby: come le nostre esperienze infantili interiorizzate danno forma alle relazioni adulte

John Bowlby, nella sua teoria dell’attaccamento, ha introdotto il concetto dei modelli operativi interni (MOI) del mondo fisico e sociale, riferendosi alle rappresentazioni mentali che il bambino si costruisce dei propri legami con le figure di riferimento.

Rappresentano, in sostanza, la modalità di interiorizzazione delle prime relazioni di attaccamento esperite da bambini. A sua volta, questa dinamica spiega il filo invisibile che collega le patologie relazionali dalla prima infanzia fino all’età adulta.

Il legame di attaccamento secondo Bowlby è una sorta di cardine su cui ruota tutta la vita di una persona, con una modalità trasversale alle varie età.

I modelli operativi che ne derivano determinano, infatti, il modo in cui percepiamo noi stessi, gli altri ed il mondo circostante.

Un modello operativo interno sicuro si forma quando il bambino ha beneficiato di una figura di accudimento affidabile e rispondente ai suoi bisogni, portando ad una visione positiva di sé stesso come meritevole di amore e degli altri come disponibili ed attendibili.

Al contrario, i disturbi dell’attaccamento portano a modelli operativi negativi, dove il bambino si percepisce come indegno di stima e di affetto, mentre gli altri sono inaffidabili, egoisti o rifiutanti. Il mondo, d’altro canto, rimane un posto ostile e inospitale, dove è meglio non esprimere parti di sé e i propri sentimenti.

Questi schemi interiori guidano le nostre aspettative e comportamenti nelle relazioni future, spesso a livello inconscio.

La comprensione e la successiva rielaborazione dei modelli operativi interni di Bowlby attraverso la psicoterapia possono aiutare a rompere gli schemi disfunzionali e a costruire relazioni più sane e soddisfacenti.

Il test della Strange Situation di Mary Ainsworth: come determinare il proprio stile di attaccamento

Il grado di sensibilità materna ai segnali del bambino e la qualità dell’interazione preverbale tra madre e figlio condizionano il tipo di attaccamento del piccolo, risultando determinante per lo sviluppo dei modelli operativi interni del Sé.

Il test rappresentato dalla Strange Situation Procedure (SSP), ideato da Mary Ainsworth negli anni ’70, è uno strumento fondamentale per comprendere il proprio stile di attaccamento infantile.

Questa procedura sperimentale registra il comportamento dei bambini in un contesto diverso dalla famiglia, ovvero in un laboratorio di osservazione, e si basa su una serie di otto brevi episodi della durata di 2/3 minuti ciascuno.

Per far emergere il suo sistema di attaccamento, il piccolo viene sottoposto ad un livello di stress emotivo progressivamente crescente, in risposta al quale manifesta la tendenza a ricercare la vicinanza affettiva ed un contatto fisico materno.

A partire dal terzo episodio viene anche inclusa un’estranea nell’esperimento con lo scopo di osservare la tipologia di relazione messa in campo dal bambino con una figura che non conosce. Qui la persona terza inizia ad interagire anche con il caregiver e tenta poi di contattare direttamente il bambino. In questo modo è possibile quantificare anche il grado di fiducia riposto dal piccolo nella propria figura di attaccamento.

Tra il quarto e l’ottavo episodio vi sono momenti di separazione e di ricongiungimento con la madre e anche brevi periodi in cui il bambino resta da solo con l’estranea.

Le reazioni dei bambini a queste situazioni di tensione e di angoscia rivelano con chiarezza i loro tipi di attaccamento, classificabile come Sicuro (tipo B), Insicuro/Evitante (tipo A), Ansioso-resistente o Insicuro/Ambivalente (tipo C) e Disorganizzato (tipo D).

I bambini con attaccamento sicuro mostrano fiducia nella figura di riferimento, cercando subito conforto al suo ritorno e godendo appieno della presenza della madre. Il mondo è vissuto come un posto accogliente, uno spazio in cui possibile esprimere bisogni, sentimenti ed emozioni.

Gli insicuri evitanti nella Strange Situation tendono invece ad ignorare la presenza e vicinanza del caregiver, non ricercano attivamente il contatto con questa figura e nel momento in cui si verifica un’interazione rimangono comunque freddi e distaccati oppure mettono in atto strategie di avvicinamento ed evitamento allo stesso tempo. Se esplorano il mondo circostante, lo fanno in autonomia e senza coinvolgere la figura di accudimento.

D’altro canto, gli ansiosi ambivalenti al ritorno della madre manifestano angoscia ed una serie di segni riconducibili ad attacchi di rabbia, risultando impermeabili alle forme di conforto e di rassicurazione. Possono aggrapparsi saldamente al caregiver ma, al contempo, resistergli e cercare di spingerlo via. In alternativa, possono esprimere anche una modalità passiva con relativa immobilizzazione quale forma di difesa.

È del tutto verosimile che la rappresentazione della madre (modello operativo interno) nella mente dei bambini con un tipo di attaccamento insicuro non sia una fonte garantita di conforto e rassicurazione, risultando invece una sorgente di dolore e frustrazione.

Hanno bisogno della madre e tendono a ricercare la sua vicinanza, ma non la vivono come un porto sicuro e quindi cercano anche di proteggersi dal dolore derivante dalla trascuratezza e dall’indifferenza.

I bambini con stili di attaccamento disorganizzato o disorientato, descritti da Main e Solomon nel 1990, mostrano comportamenti confusi o incoerenti. Per molti versi è da ritenersi il modello di attaccamento più insicuro e maggiormente correlato a gravi forme di disregolazione emotiva.

Durante la procedura questi bambini appaiono spaesati, smarriti, privi di un punto di riferimento, mettendo in atto dinamiche comportamentali anomale quali dondolarsi oppure immobilizzarsi. Manifestano spesso paura sul volto associata ad una postura rigida.

Questo stile è caratterizzato da una frattura interna tra la tendenza del tutto fisiologica ad assecondare il bisogno di vicinanza emotiva con una figura di riferimento e, dall’altro lato, il sistema di difesa che li porta a paralizzarsi di fronte ad un pericolo.

Il bambino sviluppa una visione del genitore come una figura pericolosa, negativa e spesso addirittura abusante e persecutrice, di cui finisce per sentirsi vittima. In ogni caso, il caregiver viene visto al contempo anche come la sua fonte di salvezza, difesa e riparo affettivo.

Determinare tramite test il proprio stile di attaccamento infantile, forgiato già a partire dalle primissime esperienze di vita, rimane un passo cruciale per comprendere le dinamiche relazionali ed emotive nell’età matura.

La dipendenza dalla madre in età adulta

L’affetto profondo che lega genitori e figli è spesso considerato un sinonimo di attaccamento, evidenziando l’importanza della vicinanza affettiva nella crescita e nello sviluppo umano.

In ogni caso, come visto per le varie forme di dipendenza che ho trattato in altri articoli, i rapporti possono essere in molti casi asimmetrici e sbilanciati, con uno dei due partner ancora in cerca di qualcosa che sente di non aver ricevuto.

Se l’attaccamento alla madre in psicologia è considerato un aspetto cruciale nello sviluppo emotivo del bambino, a partire dall’adolescenza e più ancora dopo il raggiungimento della maggiore età le cose cambiano radicalmente.

La dipendenza dalla madre in età adulta rimane in realtà un fenomeno piuttosto diffuso nella nostra società, soprattutto nel modello italiano. Può manifestarsi anche per molti anni dopo che la persona adulta ha lasciato l’abitazione dei genitori ed è decisamente più comune nei maschi.

Non stupisce che possa influenzare profondamente la capacità di instaurare rapporti autonomi e soddisfacenti proprio alla luce della stretta interconnessione tra stili di attaccamento e relazioni sentimentali.

Questa dipendenza si manifesta in genere attraverso una continua ricerca di approvazione, sostegno emotivo e decisionale da parte della figura materna, con conseguente difficoltà a sviluppare una piena e reale indipendenza, come sarebbe tipico dell’età adulta.

Le persone che ne soffrono possono avere difficoltà a prendere decisioni importanti senza consultare la madre, a gestire la propria vita quotidiana e a costruire rapporti caratterizzati da sani confini.

Questo legame eccessivamente stretto può derivare da un attaccamento insicuro nell’infanzia, dove il bambino non ha ricevuto una base sicura su cui edificare la propria autonomia. Il problema è che l’adulto che non ha ricevuto abbastanza accudimento tende ancora a ricercarlo, pur non essendone consapevole.

Tutti noi tendiamo, infatti, a mettere in campo atteggiamenti per colmare i nostri vuoti interiori e per sfuggire al dolore che può essere rievocato da certe situazioni.

Stili di attaccamento nella coppia

Il nostro desiderio di amore e i metodi con cui lo cerchiamo rivelano molto di noi, della nostra storia e dei nostri modelli di attaccamento.

Gli stili di attaccamento giocano ovviamente un ruolo cruciale nelle dinamiche di coppia, influenzando profondamente le modalità con cui i partner interagiscono, comunicano e gestiscono i conflitti e le divergenze nel proprio sentire.

Un attaccamento sicuro favorisce in genere relazioni stabili e soddisfacenti, caratterizzate da fiducia reciproca, intimità emotiva ed una comunicazione aperta.

D’altro canto, le 3 modalità di attaccamento insicuro generano quasi sempre difficoltà più o meno significative. Le persone con attaccamento evitante in amore tendono a mantenere una distanza emotiva, sfuggendo quanto più possibile da una connessione profonda proprio per la paura di rivivere un dolore antico.

I soggetti con stili di attaccamento ansioso-ambivalente, invece, possono mostrarsi eccessivamente dipendenti, cercando costantemente rassicurazioni e temendo sempre l’abbandono. Chi, infine, ha un legame di attaccamento disorganizzato può oscillare tra comportamenti contraddittori di vicinanza e di rifiuto, rendendo le relazioni molto instabili ed imprevedibili.

Riconoscere i propri stili di attaccamento nella coppia e quelli del proprio partner è un punto di partenza fondamentale soprattutto in presenza di tratti di personalità evitante in amore, in cui la fatica a condividere quello che si muove nel proprio intimo rischia di lasciare la relazione sentimentale ad un livello superficiale e coartato.

Esattamente come una chioccola, il partner evitante tende a ritirarsi non appena il rapporto raggiunge un livello soglia di affettività, provocando frustrazione e confusione nell’altra persona.

La Psicoterapia Olistica per affrontare gli stili di attaccamento insicuro nell’adulto

Come abbiamo visto, le principali criticità relazionali e la presenza di fobie abbandoniche sono da mettere in relazione soprattutto ad un legame di attaccamento insicuro evitante e ambivalente, che lascia dei vuoti affettivi che accompagneranno la persona per tutta l’età adulta, quantomeno finché non deciderà di lavorarci sopra.

Il primo passo è l’individuazione dei propri stili di attaccamento adulto, che può essere effettuata con strumenti molto validi quali l’Adult Attachment Interview (Gorge, Kaplan e Main, 1987), un’intervista semi-strutturata che indaga le rappresentazioni mentali delle esperienze di attaccamento che hanno caratterizzato la nostra infanzia.

Le domande proposte si focalizzano su come la persona vive e gestisce la propria intimità, i momenti di separazione e l’autonomia in generale. Il test valuta aspetti come la fobia dell’abbandono, la ricerca costante di rassicurazione dall’esterno e la tendenza alla preoccupazione per la disponibilità emotiva del partner.

Una volta individuato il proprio stile di attaccamento, la psicoterapia olistica può essere di grande aiuto nel lavorare sulle quasi onnipresenti carenze affettive e su tutti i casi di legame di attaccamento insicuro.

Quando si parla di approccio olistico in psicoterapia, ci si riferisce ad un metodo integrale e unitario di valutazione dell’individuo.

Il termine “olistico” considera un fenomeno non come una mera somma delle parti che lo compongono, ma piuttosto in base alle interazioni tra queste parti e agli effetti che producono nel loro insieme.

Non si parla, tra l’altro, solamente di unitarietà del corpo fisico, ma della stessa unità psiche-soma, o somatopsichica.

Questo approccio integrato e breve si focalizza sulla risoluzione rapida ed incisiva delle problematiche emotive, aiutando il paziente a colmare i vuoti psicologici che continuano a pilotare da dietro le quinte tutta la sua esistenza, mantenendolo in uno stato di disequilibrio.

Vediamo adesso le 3 macro-modalità efficaci con cui la Psicoterapia Medica Olistica può intervenire quando è mancato, totalmente o solo in parte, il porto sicuro da bambini:

  1. Esplorazione focalizzata del passato. Serve ad identificare e comprendere le esperienze infantili che hanno contribuito allo sviluppo di uno stile di attaccamento ansioso, evitante o disorganizzato.
  2. Riconoscimento dei modelli comportamentali predominanti e ricorrenti. Con questo si aiuta il paziente a riconoscere i propri schemi di comportamento relazionale e a comprenderne le origini delicate e spesso dolorose.
  3. Sviluppo di nuove abilità. In questa fase si lavora sulla costruzione di abilità relazionali più sane, come la comunicazione efficace e la consapevolezza delle emozioni che di volta in volta emergono, in modo da iniziare a modularle e smettere di esserne spettatori passivi.

Il principio di fondo è che quello che abbiamo vissuto (o non vissuto) da bambini non deve essere preso come una condanna o un fardello che saremo costretti a portare sulle nostre spalle per tutta la vita.

Vi è senza dubbio un lavoro interiore da svolgere con i giusti strumenti, che a tratti dovrà muoversi sul limitare dell’ansia, ma i risultati che si possono ottenere meritano tutto il percorso.

Prima di concludere questo lungo articolo, volevo lasciarti qualche spunto sulle modalità di intervento e di possibile guarigione in caso di attaccamento evitante oppure ansioso.

Attaccamento evitante, come guarire

Guarire da un attaccamento evitante richiede un percorso di consapevolezza e trasformazione personale, che può essere facilitato di molto dalla psicoterapia.

La prima fase consiste nel riconoscere e comprendere le proprie tendenze evitanti, sviluppando una maggiore consapevolezza delle emozioni e dei comportamenti che caratterizzano questo stile di attaccamento.

Alle radici di queste dinamiche vi sono spesso vissuti dolorosi o traumi psicologici non risolti.

È fondamentale imparare a tollerare e a gestire l’intimità e la vicinanza emotiva, ricostruendo gradualmente la fiducia negli altri e nelle relazioni.

Attaccamento ansioso, come guarire

Come per gli stili di attaccamento evitante, anche qui il lavoro psicologico prende le sue mosse dal riconoscimento delle proprie modalità e dei comportamenti tipici dell’attaccamento ansioso, come la costante ricerca di rassicurazione e la fobia dell’abbandono.

In una seconda fase del percorso si passa ad esplorare le origini di questi schemi comportamentali, riconoscendo l’emozione fondamentale associata.

Come si sente la persona rispetto alla mancanza di un attaccamento emotivo sicuro nella propria infanzia?

Che emozione si muove in lei? E come lo fa?

L’emozione va sentita, localizzata nel corpo e preferibilmente associata ad una sensazione.

Bisogna imparare a dimorare nell’energia di questa energia emotiva, sospendendo ogni forma di giudizio e praticando solamente la connessione con quella parte del proprio corpo.

Le esperienze dolorose e i traumi lasciano sempre dei solchi dentro di noi, e la via della guarigione non può che passare dal riconoscimento e dallo sblocco di queste energie.


Se vuoi più informazioni sulla Psicoterapia Medica Olistica oppure prenotare la prima seduta con me, puoi compilare il modulo di contatto che trovi all’inizio della Pagina Contatti.

Foto professionale della Dott.ssa Elisa Scala, medico psicoterapeuta a Novara
Ricevo a Novara e online

Medico psicoterapeuta

Sono iscritta all’Albo Professionale dei Medici dall’anno 2008 ed esercito la professione di Psicoterapeuta sia per mezzo di sedute online (via Zoom o Skype) che in presenza nel mio Studio privato vicino al centro storico di Novara.

Perché rivolgersi ad un medico psicoterapeuta?

Grazie alla sua duplice formazione medica e psicoterapeutica, un medico psicoterapeuta è in grado di valutare il paziente non solo dal punto di vista meramente psicologico, ma anche di considerare eventuali fattori biologici, medici e farmacologici che possono influenzare il disturbo, conflitto interiore o disagio portato dal paziente.

Questo permette una presa in carico olistica, in cui si possono trattare problematiche emotive, psichiche e fisiche in modo sinergico, personalizzando il percorso terapeutico per ottenere risultati più efficaci e duraturi.

I vantaggi tangibili per il paziente consistono in tempi mediamente più brevi rispetto alla psicoterapia tradizionale e senza limitarsi a quella che potrei definire come “terapia dell’ascolto”.

Dott.ssa Elisa Scala, medico psicoterapeuta a Novara