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L’alessitimia, sinonimo di anestesia emotiva o anche di analfabetismo emotivo, si caratterizza per una disfunzione nel contatto, riconoscimento ed elaborazione delle proprie emozioni, con conseguente difficoltà a parlarne e a comunicarle agli altri.

La scarsa capacità di connessione con il prossimo finisce con l’inaridire le relazioni interpersonali e le proprie esperienze interiori.

L’alessitimia è un fenomeno spesso sottovalutato ma di grande rilevanza soprattutto nella società contemporanea, con la maggior parte delle persone che non ne è nemmeno consapevole.

Ma è davvero possibile vivere senza le emozioni?

È fattibile portare avanti la propria esistenza avendo quella camera magmatica di correnti emotive dentro di sé costantemente velata alla mente, con l’impossibilità di esprimere i propri sentimenti?

Non stupisce che una persona priva di emozioni spesso fatichi a connettersi con gli altri e a comprendere i propri stati d’animo, vivendo in un costante stato di apatia.

Nell’articolo ti illustrerò nel dettaglio cos’è l’alessitimia, il suo significato psicologico, le sue cause più diffuse e come riconoscerla a partire dai suoi sintomi ricorrenti. Vedremo le correlazioni più rilevanti tra l’alessitimia e altri disturbi o condizioni psicologiche, come la depressione, il comportamento alimentare e la sfera sessuale.

Ti proporrò, infine, anche alcuni spunti pratici e utili per iniziare a riconnetterti pienamente con questa dimensione importantissima di te, ritornando a familiarizzare con le diverse emozioni e con la vibrazione che le caratterizza.

Che cos’è l’alessitimia?

L’alessitimia è spesso descritta come sinonimo di anestesia emotiva, in cui l’individuo è incapace di identificare, comprendere e verbalizzare le proprie emozioni.

Il termine alessitimia è stato coniato all’inizio degli anni Settanta dai due psichiatri americani John C. Nemiah e Peter E. Sifneos per delineare un insieme peculiare di tratti di personalità osservati in alcuni pazienti affetti da problemi psicosomatici.

Più nello specifico, Peter Sifneos ha introdotto questa parola per descrivere l’alterazione delle funzioni affettive e simboliche, a sua volta correlabile all’insorgenza di uno stile comunicativo asettico, scialbo e privo di colore, che riscontrava frequentemente nei pazienti affetti da disturbi psicosomatici.

La parola alessitimia, derivata dal greco a- «mancanza, assenza», lexis «parola, linguaggio» e thymos «emozione», significa letteralmente “non avere parole per le emozioni” o “assenza di un linguaggio per le emozioni”.

Espressa in altro modo, indica la difficoltà o l’incapacità di riconoscere, mentalizzare, interpretare e descrivere (quindi portare fuori da sé) le proprie emozioni.

Per la sua stessa natura, è un’esperienza che va oltre la semplice difficoltà nel tradurre in parole ciò che si prova interiormente, comportando un’interferenza sostanziale nella vita quotidiana e nelle relazioni interpersonali.

Rientra nella tendenza diffusamente osservabile di un mentale sempre più disconnesso e lontano dall’emotivo, come se ci fosse una vera e propria barriera impermeabile tra le due realtà interiori.

Alessitimia e blocco emotivo: le sottili ma importanti differenze tra le due condizioni

Anche per quello che abbiamo appena visto, l’alessitimia presenta alcuni tratti in comune con il blocco emotivo, una condizione in cui le emozioni si trovano in uno stato sopito o immobilizzato, impedendo di fatto alla persona di sentirle o di esprimerle in modo naturale e spontaneo.

Il blocco può essere alimentato da vari fattori, tra cui traumi emotivi, stress cronico, depressione o ansia, risultando quindi in buona parte aspecifico e non semplice da individuare.

Per sua natura, l’alessitimia può contribuire al blocco emotivo dal momento che il contatto con le emozioni diventa sempre più asciutto e, soprattutto, viene meno tutta la parte di rielaborazione e mentalizzazione. In questo modo la dimensione emotiva può ulteriormente cristallizzare i propri blocchi e contenuti non integrati.

Possiamo vedere un parallelismo con la superficie di un lago di montagna che, se lasciata tranquilla ed imperturbata, d’inverno tenderà a ghiacciare, mentre un movimento costante e ripetuto (che metaforicamente rappresenta l’accesso e l’utilizzo attivo della propria sfera emotiva) rende molto più arduo il processo di ghiacciamento superficiale.

Una dimensione emotiva sana è vissuta, esperita, in continua attività.

L’emozione di per sé è energia in circolazione, trasporto verso l’esterno, scuotimento.

L’alessitimia invece chiude la sfera delle emozioni, la ostacola, la sbarra e la lascia in qualche modo in disparte, come se la persona potesse vivere senza una sua partecipazione attiva alla propria esistenza.

Alessitimia, sintomi

I sintomi dell’alessitimia possono manifestarsi con varie declinazioni e sfumature, ma tutte convergono verso una comune difficoltà nel riconoscere e gestire la dimensione emotiva.

Uno dei segni distintivi del soggetto alessitimico è la mancanza di consapevolezza emozionale, che si traduce in una percezione limitata delle proprie sensazioni ed emozioni, ma anche in una empatia tipicamente ridotta.

Questo si riflette poi a cascata in una comunicazione emotiva superficiale o distorta, dove le persone alessitimiche sono in grado di descrivere le loro esperienze solo in termini vaghi o astratti, senza una comprensione approfondita delle varie gradazioni emozionali. L’ottundimento delle emozioni porta in generale ad una ridotta capacità di vivere e reagire agli stimoli emotivi.

Oltre a questo, possono essere presenti sintomi fisici correlati allo stress emotivo non elaborato, come tensione muscolare, disturbi del sonno o problemi gastrointestinali.

Per avere un quadro d’insieme, i 6 sintomi principali dell’alessitimia consistono tipicamente in:

  1. Difficoltà nel percepire, identificare ed interpretare le proprie emozioni.
  2. Scarso accesso alla dimensione emotiva, con conseguente impedimento ad individuare le cause che determinano le correnti emotive interne.
  3. Fatica nel descrivere le proprie sensazioni emotive agli altri.
  4. Tendenza a concentrarsi maggiormente sulle sensazioni fisiche anziché su quelle emotive, con conseguente propensione ad utilizzare l’azione fisica al posto della parola.
  5. Ridotta empatia e capacità di comprensione delle emozioni altrui.
  6. Maggiore suscettibilità a disturbi psicologici come depressione, ansia e disturbi alimentari.

Gli ostacoli nel riconoscere ed interpretare i segnali interni ed esterni legati alle emozioni può portare ad un senso di frustrazione ed alienazione, alimentando il ciclo di disconnessione emotiva e di isolamento sociale che caratterizza spesso questa condizione.

L’interferenza con i processi di riorganizzazione interna delle emozioni spinge poi l’alessitimico ad adottare comportamenti compulsivi quali l’abuso di sostanze, l’abbuffarsi di cibo o una dipendenza dalla sessualità quale mezzo ideale per alleviare le tensioni interne associate ai flussi emotivi non elaborati.

L’alessitimia è una malattia?

L’alessitimia non è classificata come una malattia nel senso tradizionale del termine.

È, invece, considerata un tratto della personalità che può variare in intensità da individuo a individuo.

Se è vero che l’analfabetismo emotivo è un fattore di vulnerabilità per una serie di disturbi psicologici, come alterazioni dell’umore, stati d’ansia, il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) e i disturbi del comportamento alimentare (DCA), non è comunque considerato una patologia autonoma, pur configurandosi come un carico aggiuntivo nella gestione di problemi emotivi preesistenti.

Alessitimia e DSM-5: patologia o semplice caratteristica della personalità?

La quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5) non include l’alessitimia, che non rappresenta quindi di per sé una patologia vera e propria.

Rimane, quindi, una tratto peculiare della personalità che non va considerato patologico in sé stesso, anche se è da ritenersi un fattore di rischio per diversi disturbi sia fisici (Porcelli P. et al., 2003) che psicologici.

A questo proposito, dobbiamo ricordare che la persona alessitimica non è un soggetto privo di sentimenti e di emozioni.

Gli alessitimici in realtà sono in grado di percepire l’emozione di per sé, ma questo contatto rimane del tutto asettico perché non può procedere verso una corretta mentalizzazione, organizzazione, descrizione ed espressione verso l’esterno.

L’alessitimico non ha imparato a dar voce al proprio mondo emotivo, letteralmente non possiede le parole per farlo, e in alcuni casi arriva a ritenerlo un processo inutile.

Vi è, quindi, una differenza sostanziale tra il profilo anaffettivo e l’alessitimia: nell’anaffettività la persona è incapace di provare emozioni, mentre l’alessitimico non è in grado di riconoscerle e di attribuire loro il nome corretto, risultando poi impedito ad esprimere i propri sentimenti.

Passiamo adesso a vedere la possibile connessione tra l’alessitimia ed altre condizioni come l’autismo o i disturbi alimentari, prima di concludere con una panoramica sul tipo di lavoro che la psicoterapia breve e olistica propone per ripristinare un’ottimale gestione delle emozioni nell’alessitimico.

Alessitimia e autismo

La relazione tra alessitimia e autismo solleva importanti interrogativi riguardo alle diverse tonalità dell’esperienza emotiva nelle persone con disturbi dello spettro autistico (ASD).

Mentre l’analfabetismo emotivo si manifesta come una difficoltà nel riconoscere e verbalizzare le emozioni, l’autismo comporta una serie di difficoltà nel comprendere ed interagire con il mondo esterno, includendo in questo le dinamiche emotive.

La verità, comunque, è che molte delle sfide che i soggetti autistici si trovano ad affrontare derivano dall’alessitimia, piuttosto che dallo stesso autismo.

Vediamo in concreto i punti più importanti:

  • Empatia. L’alessitimia, non l’autismo, causa una riduzione dell’empatia affettiva. Le persone autistiche presentano in realtà una precisione empatica intrinseca superiore alla media.
  • Contatto visivo. Le persone autistiche evitano il contatto visivo quando sono sovra-stimolate, mentre le persone alessitimiche evitano il contatto visivo a causa di emozioni negative.
  • Riconoscimento delle emozioni. L’autismo non è correlato alla capacità di riconoscere le espressioni facciali, indipendentemente dall’entità dei tratti autistici. I problemi nella lettura della mimica facciale sono riscontrabili solo nell’alessitimia.
  • Espressione affettiva. Le espressioni facciali ridotte nell’alessitimia costituiscono un meccanismo di difesa contro l’affetto negativo.

In ogni caso, le persone con autismo possono presentare un’ampia gamma di gradazioni soggettive nella propria esperienza emotiva, che possono includere sia una maggiore sensibilità interna che una ridotta capacità di riconoscere e di rispondere agli stimoli emotivi.

In alcuni casi, l’alessitimia costituisce una componente integrante dell’esperienza emotiva di una persona con autismo, mentre in altri le due condizioni possono coesistere come tratti separati.

Alessitimia e Asperger

La sindrome di Asperger è un disturbo del neurosviluppo caratterizzato da una limitata facoltà di comunicazione e di socializzazione. A differenza dell’autismo tradizionale, non comporta anche disabilità cognitive o linguistiche. Come per gli altri disturbi dello spettro autistico, vi sono dei punti di contatto tra alessitimia e Asperger.

La sindrome di Asperger, una forma di autismo ad “alto funzionamento”, è infatti spesso associata a difficoltà nella comprensione e nell’espressione delle emozioni, in maniera del tutto analoga all’alessitimia.

Mentre l’alessitimia si concentra principalmente sulla limitata consapevolezza emotiva, la sindrome di Asperger si estende anche a difficoltà nella comprensione delle dinamiche sociali e delle interazioni umane.

Prese insieme, queste due condizioni generano un quadro emotivo complesso, in cui le persone con sindrome di Asperger lottano per comprendere e comunicare le loro emozioni in modo comprensibile agli altri.

È importante riconoscere che l’alessitimia non è una caratteristica intrinseca dell’autismo, ma piuttosto una sovrapposizione di sintomi che può essere presente in alcuni individui con sindrome di Asperger.

Alessitimia e sessualità

La relazione tra alessitimia e sessualità risulta per certi versi molto forte, essendo forse uno dei campi dove l’inaridimento emotivo può maggiormente creare difficoltà.

Per le persone alessitimiche, la sfera sessuale rappresenta un terreno difficile da navigare, caratterizzato da una limitata connessione con il corpo e le emozioni del partner unita ad una diminuita attitudine a comunicare desideri e bisogni intimi.

L’alessitimia è da inquadrarsi alla stessa stregua di un’anestesia emotiva che si riverbera inevitabilmente sulla propria sessualità. Le persone affette si mostrano apatiche, fredde e con scarso interesse nei confronti del sesso anche se in realtà si trovano in una condizione di impedimento ad esperire le emozioni quando queste si muovono nel corpo.

La difficoltà, prima di essere erotica, è affettiva ed emotiva.

In linea generale, non bisogna mai dare per scontata la capacità di derivare piacere da un rapporto sessuale, come se fosse connaturato con l’atto stesso.

Il piacere sessuale può scaturire dalla consapevolezza della propria fisicità e dall’appagamento dei propri desideri erotici.

Nel momento in cui l’esperienza sensoriale è inficiata, viene meno una larga fetta della piacevolezza e della pienezza di un amplesso.

L’espressione emotiva dell’alessitimico è, infatti, sempre distonica (= mancanza di accordo, distanza, letteralmente “dal tono sbagliato”) rispetto alle circostanze.

Le persone affette da alessitimia, durante l’atto sessuale, tendono a distogliere l’attenzione dall’esperienza e dalle emozioni coinvolte, rifugiandosi nella dimensione mentale e concentrandosi su altri pensieri. Non sono lì e si mantengono a debita distanza da un mondo che hanno difficoltà a contattare.

Questo comportamento porta alla mancata elaborazione degli aspetti soggettivi dell’esperienza e, di conseguenza, alla difficoltà nel trarre piacere dal contatto sessuale stesso. Di conseguenza, poiché il piacere sessuale non è percepito né riconosciuto come tale, non viene nemmeno ricercato attivamente.

L’assenza di una prospettiva di piacere sopprime ogni impeto verso il partner, facendo ricadere l’atto sessuale in una asettica dimensione di doverismo. Questo, unito ad una mancanza quasi totale di immaginario erotico, inibisce la risposta sessuale, facilitando così lo sviluppo di una serie di disfunzioni sessuali, come eiaculazione precoce o ritardata, disfunzione erettile, disturbi del desiderio e anorgasmia.

Affrontare l’alessitimia nella sfera sessuale richiede preferibilmente un approccio terapeutico olistico che si focalizza sia sul riadattamento del ruolo del partner, affinché non si limiti più a quello di un mero contenitore genitoriale, sia sull’incremento della consapevolezza emotiva dell’alessitimico mediante l’utilizzo di tecniche immaginative e corporee.

Tali metodologie mirano a ripristinare la dimensione cognitiva e soggettiva delle emozioni, consentendo così una maggiore espressione e comprensione dei propri vissuti emotivi.

Alessitimia e depressione

La relazione tra alessitimia e depressione è delicata e bidirezionale. Più del 25% dei soggetti che presentano un disturbo depressivo è, infatti, risultato manifestare sintomi alessitimici.

Da un lato, l’alessitimia può rappresentare un fattore di rischio per lo sviluppo della depressione alla luce della limitata percezione degli stimoli emotivi e della difficoltà nel gestire le proprie emozioni, che rendono più arduo riconoscere quello che sta accadendo dentro di sé in relazione alla propria quotidianità.

Le persone alessitimiche presentano anche difficoltà nel riconoscere i segnali precoci della depressione, come tristezza persistente o perdita di interesse per le attività piacevoli, ritardando così la possibilità di intervenire con consulti terapeutici mirati o con altre cure idonee.

Dall’altro lato la depressione può, a sua volta, contribuire all’alessitimia, dal momento che l’umore depresso compromette in genere la possibilità di riconoscere e gestire le emozioni in modo sano e adeguato.

Questa interazione tra alessitimia e depressione tende a creare un circolo vizioso in cui entrambe le condizioni si alimentano reciprocamente, amplificando il disagio emotivo e compromettendo il benessere complessivo dell’individuo.

Alessitimia e disturbi alimentari

La correlazione tra il costrutto dell’alessitimia e disturbi alimentari è stata confermata rispetto ai tratti psicologici che stanno alla base dei DCA, in particolare anoressia e bulimia, tipicamente caratterizzati da un eccessivo coinvolgimento negativo verso i temi del controllo, dell’autostima e della perfezione.

Per quanto riguarda la questione del controllo, spesso legato al processo di rimuginio ossessivo associato ad una costante rivisitazione di pensieri negativi disadattivi, possiamo identificare atteggiamenti psicologici ancorati alla preoccupazione sia per il cibo che per l’immagine corporea.

Questi non fanno altro che contribuire allo sviluppo e al mantenimento dei disturbi alimentari nel tempo.

A questo proposito, è utile ricordare che le quattro emozioni prevalentemente correlate ai disturbi alimentari sono rabbia (in genere l’emozione più difficile da riconoscere, accettare ed esprimere), orgoglio (le restrizioni alimentari sono spesso legate a quest’ultimo nel tentativo di difendersi dall’emozione primitiva della vergogna), paura (espressa qui sia a livello fisico che egoico) e disgusto (da cui deriva la complessa emozione della vergogna).

L’alessitimia può essere inquadrata come una forma di intolleranza agli stati d’animo intensi, soprattutto quando legati a rabbia, ansia o tristezza.

Non deve, quindi, sorprendere che l’alessitimico presenti più facilmente una relazione distorta con il cibo, utilizzandolo come mezzo per compensare la propria mancanza di consapevolezza emotiva e nel tentativo di gestire lo stress e le tensioni quotidiane.

Questo può manifestarsi attraverso comportamenti alimentari disfunzionali, come abbuffate emotive o restrizioni estreme, che riflettono una difficoltà nel riconoscere e regolare i propri stati emotivi.

In aggiunta, l’alessitimia può influenzare la percezione del corpo e dell’immagine di sé, contribuendo alla insoddisfazione cronica in relazione al proprio aspetto fisico e all’adozione di abitudini alimentari nocive per la salute.

D’altra parte, i disturbi alimentari stessi possono esacerbare l’alessitimia, poiché la malnutrizione e le oscillazioni dell’umore associate ai DCA tendono a compromettere ulteriormente la connessione tra componente fisiologica e sentimentale soggettiva delle emozioni.

Le possibili cause dell’alessitimia

Le cause dell’alessitimia possono essere molteplici e non sono sempre facili da identificare in maniera univoca.

Studi recenti suggeriscono una combinazione di fattori genetici, neurofisiologici, intrapsichici e ambientali. Tra questi ultimi, un’infanzia caratterizzata da carenze affettive, traumi precoci o modelli familiari di espressione emotiva limitata può contribuire allo sviluppo di questa condizione.

A livello neurofisiologico, numerose ricerche hanno confermato il coinvolgimento prevalente dell’emisfero destro del cervello nell’elaborazione del comportamento emotivo, mentre l’emisfero sinistro è noto per il suo ruolo predominante nell’elaborazione del linguaggio e nella produzione verbale.

Ciò suggerisce la possibilità che l’interruzione della comunicazione tra gli emisferi cerebrali attraverso il corpo calloso, insieme ad un’alterazione nel funzionamento dell’emisfero destro del cervello, possano rappresentare due probabili fattori contribuenti allo sviluppo dell’alessitimia.

Secondo le teorie del medico e neuroscienziato Paul Donald MacLean le emozioni, quando vissute in prevalenza tramite la via somatica, seguono percorsi diretti agli organi attraverso le vie neuroendocrine e autonome. Questo fenomeno potrebbe spiegare il motivo per cui gli individui con tratti di personalità alessitimici presentano difficoltà nel tradurre in parole ed interpretare gli stati emotivi, finendo poi per confonderli con le sensazioni fisiche.

Perché si diventa alessitimici?

Una persona che non prova emozioni può sembrare distaccata o insensibile, ma spesso nasconde un disagio psicologico profondo come l’alessitimia o altre condizioni legate all’ottundimento emotivo.

Se vogliamo scendere ad un livello più profondo, la maggior parte degli alessitimici non è nemmeno consapevole di soffrire di questa condizione, a meno che non abbia un riscontro diretto da parte di chi lo circonda o del proprio partner.

Quando interagiamo con le altre persone, proiettiamo infatti sempre il nostro modo di essere e le nostre dinamiche interiori, e questo ci rende molto più arduo, se non a tratti del tutto precluso, sentire realmente come sono gli altri e le motivazioni profonde che li muovono.

Proiettiamo noi stessi sugli altri e filtriamo sulla base di come noi sentiremmo, agiremmo e penseremmo se fossimo al loro posto per come li vediamo da fuori. Come spiega molto bene la psicologia della Gestalt, noi non interagiamo con la realtà, ma con la nostra rappresentazione interna della stessa.

Questo quindi già di per sé crea una barriera importante, che nell’analfabetismo emotivo viene ulteriormente potenziata.

Non è infrequente che un soggetto possa trascorrere tutta la propria vita con questa condizione, senza mai diventarne realmente consapevole.

In ogni caso, abbiamo visto che l’ambiente gioca anch’esso un ruolo significativo nel determinare lo sviluppo di questa difficoltà emotiva. Se durante l’infanzia i nostri genitori o, in generale, i nostri caregiver manifestavano una limitata espressione emotiva, è molto probabile che da adulti andremo poi a sviluppare una scarsa capacità di riconoscere e gestire le nostre emozioni.

Non solo, ma presenteremo anche una grande difficoltà nel modulare la loro espressione. La stessa gestione sociale delle emozioni potrebbe quindi essere molto problematica e crearci non pochi problemi nelle nostre relazioni interpersonali.

Sul piano fisico, anche alterazioni nella funzionalità del sistema nervoso centrale (SNC), come quelle riscontrate in alcune condizioni neurologiche, possono compromettere la capacità di elaborare le emozioni in modo adeguato, contribuendo alla manifestazione dell’alessitimia.

Alessitimia, valutazione e trattamento

Una persona che non prova emozioni può avere difficoltà a comprendere e ad esprimere i propri sentimenti, trovandosi così isolata dal proprio mondo interiore e da quello relazionale.

Anche se gli alessitimici in realtà sembrano integrati nella società, tendono spesso ad adottare una postura rigida, evidenziano una limitata immaginazione e sono esposti alla manifestazione di attacchi di rabbia o di tristezza incontrollata.

In ogni caso, quando interrogati sulle ragioni di tali reazioni, spesso si trovano incapaci di fornire spiegazioni convincenti. Questo perché, nonostante rivelino una risposta fisiologica normale alle emozioni, le loro capacità di elaborare gli elementi che costituiscono la loro esperienza emotiva in una rappresentazione mentale interna sono compromesse.

Gli studi di Jurgen Ruesch condotti tra il 1948 e il 1957 hanno messo in luce il fatto che i pazienti alessitimici tendono ad avere fantasie piuttosto stereotipate ed uno stile di pensiero tendente all’imitazione, senza immaginazione e portato ad un utilitarismo estremo. Da segnalare anche una concomitante difficoltà ad accedere alle pulsioni presenti nel proprio mondo inconscio.

Le persone colpite da questa condizione mostrano spesso un’inclinazione verso il conformismo sociale e possono stabilire relazioni caratterizzate da una forte dipendenza, oppure manifestare una preferenza per l’isolamento sociale.

In fondo, la scarsa connessione con le proprie emozioni tende in qualche modo ad appiattire le persone, eliminando una buona parte di ciò che le rende uniche nelle interazioni con il mondo esterno.

Quanto più bassa è la consapevolezza delle nostre stesse emozioni, tanto più limitata sarà l’empatia e la capacità di sentire le emozioni negli altri.

Secondo lo psicologo e scrittore Daniel Goleman, l’empatia e l’autocontrollo rappresentano le due fondamentali competenze sociali necessarie per costruire una vita relazionale appagante ed emotivamente soddisfacente, una base imprescindibile per il benessere psicofisico individuale.

Alessitimia test

La diagnosi di alessitimia ad oggi può essere effettuata tramite alcuni test ed altri utili mezzi di valutazione.

Il principale strumento diagnostico rimane il TAS-20 (Toronto Alexithymia Scale), risalente al 1985 e revisionato poi nel 1992. Questo questionario di autovalutazione è composto da 20 elementi messi a punto per individuare la presenza delle tre caratteristiche chiave del disturbo:

  • Fattore I: difficoltà nell’identificazione del propri sentimenti e nel distinguere le emozioni dalle sensazioni fisiche (in inglese difficulty in identifying feelings);
  • Fattore II: difficoltà nel descrivere e dare così voce ai propri sentimenti (in inglese difficulty in describing feelings);
  • Fattore III: tendenza a concentrarsi principalmente su ciò che accade esternamente, con scarsa riflessione sui propri processi interiori (in inglese externally-oriented thinking).

A ciascuna domanda viene attribuito un punteggio in base ad una scala Likert da 1 a 5, ove 1= fortemente in disaccordo, 2= in disaccordo, 3= né d’accordo né in disaccordo, neutrale, 4= in accordo e 5= fortemente d’accordo. Il punteggio medio di sottotipo più alto (Fattore I, II o III) indica quale parte dell’alessitimia rappresenta la sfida maggiore per la persona.

Ti riporto di seguito le 20 affermazioni del test sull’alessitimia, a cui devi attribuire un punteggio da 1 a 5 in accordo alla scala descritta sopra. Alla fine del test, somma i singoli punteggi ottenuti per calcolare il totale.

  1. Mi sento spesso in confusione rispetto all’emozione che sto provando.
  2. È difficile per me trovare le parole giuste per le mie sensazioni.
  3. Ho sensazioni fisiche che perfino i medici non riescono a comprendere.
  4. Sono in grado di descrivere facilmente le mie sensazioni.
  5. Preferisco analizzare i problemi piuttosto che semplicemente descriverli.
  6. Quando mi trovo in uno stato di turbamento, non so se sono triste, spaventato/a o arrabbiato/a.
  7. Sono spesso in uno stato di confusione rispetto alle sensazioni presenti nel mio corpo.
  8. Preferisco lasciare che le cose accadano piuttosto che capire perché sono andate in quel modo.
  9. Provo sentimenti che non riesco ad identificare del tutto.
  10. Essere in contatto con le emozioni è fondamentale.
  11. Trovo difficile descrivere quello che provo per le persone.
  12. Le persone mi dicono di descrivere di più i miei sentimenti.
  13. Non so cosa sta succedendo dentro di me.
  14. Spesso non so perché sono arrabbiato.
  15. Preferisco parlare alle persone delle loro attività quotidiane piuttosto che dei loro sentimenti.
  16. Preferisco guardare spettacoli di intrattenimento “leggeri” piuttosto che drammi psicologici.
  17. È difficile per me rivelare i miei sentimenti più intimi, anche agli amici più stretti.
  18. Posso sentirmi vicino a qualcuno, anche nei momenti di silenzio.
  19. Trovo che l’esame dei miei sentimenti sia utile per risolvere i problemi personali.
  20. La ricerca dei significati nascosti nei film o nelle opere teatrali mi distrae dal divertimento e da una possibilità di fruizione piena.

Il TAS-20 utilizza un punteggio soglia, con i punteggi compresi tra 52 e 60 che indicano una possibile alessitimia e i punteggi superiori a 60 che invece sono indicatori di alessitimia. In altre parole, più alto è il tuo punteggio, più tratti alessitimici sono presenti e maggiore è la probabilità di essere clinicamente classificabile come soggetto alessitimico.

Oltre al TAS-20 che abbiamo visto nel dettaglio, il Thematic Apperception Test (TAT), sviluppato nel 1935 dagli psicologi americani Henry A. Murray e Christina D. Morgan, è un tipo di test proiettivo che prevede la descrizione di scene, situazioni o personaggi volutamente ambigui per imparare di più sulle emozioni, le motivazioni e la personalità di un soggetto. È popolarmente conosciuto come la “tecnica di interpretazione delle immagini”.

Il SAT9 (Objectively Scored Archetypal Test) è un altro strumento che, tramite un metodo proiettivo di disegno, si focalizza sulla valutazione della caratteristica centrale dell’alessitimia, ovvero la funzione simbolica e la capacità dell’individuo di generare fantasie.

All’individuo viene presentata una lista di 9 oggetti o simboli (come una cascata, una spada, un mostro, un rifugio, un animale, un fuoco, un oggetto ciclico), chiedendogli di creare un disegno a partire da questi simboli e di narrare poi una breve storia per spiegarne il significato. Ovviamente, quanto più gravi saranno i tratti dell’alessitimia, tanto più poveri e meno originali saranno i disegni, sia nella forma che nel contenuto, proprio alla luce del deficit nella funzione simbolica.

Anche se l’analfabetismo emotivo è associato a diverse condizioni patologiche sia di natura psicosomatica che psicologica, per una corretta diagnosi differenziale rimane fondamentale distinguere i suoi sintomi dai segni negativi della schizofrenia, come ottundimento affettivo, alogia (= povertà di linguaggio o dell’eloquio), disturbi dell’umore e anedonia (= incapacità di provare piacere o godimento in attività solitamente vissute come gratificanti).

Alessitimia, si può guarire?

L’alessitimia rappresenta senza dubbio una sfida significativa per chi ne è affetto, anche perché la maggior parte degli individui parte da uno stato di inconsapevolezza di questa condizione.

Fortunatamente, esistono orientamenti terapeutici efficaci per affrontare l’alessitimia e promuovere un maggiore accesso emotivo.

La psicoterapia olistica, con il suo approccio integrato che considera l’individuo nella sua completezza, si pone come uno strumento prezioso per coloro che desiderano superare questa difficoltà.

Attraverso un ciclo di sedute strutturate e mirate, la psicoterapia aiuta il paziente in prima istanza a tornare a sentire le proprie emozioni, ad attribuire loro una sensazione fisica, a collocarle nel corpo, ad associare loro un’immagine.

Come secondo punto, è molto utile imparare a dimorare nella sensazione associata all’emozione, imparando gradualmente a non sfuggirla.

Un terzo strumento è l’amplificazione a comando di questa sensazione, in modo da cominciare a modularne l’intensità come se stessimo agendo su un termostato. Bisogna imparare a non averne paura, a sentirla nel corpo in forma amplificata.

Come quarto punto, è anche importante che il paziente impari a parlarne, a descrivere ciò che sente a partire proprio dalle sensazioni fisiche associate all’emozione.

L’esplorazione delle proprie emozioni in un ambiente sicuro e privo di giudizio rappresenta il filone portante del lavoro della psicoterapia sull’alessitimia, potendo portare risultati spesso inaspettati in tempi rapidi.

Quattro consigli pratici per mitigare l’analfabetismo emotivo nella vita quotidiana

Prima di concludere questo articolo, volevo lasciarti 4 semplici consigli da iniziare ad applicare fin da subito per attenuare l’impatto dell’alessitimia nella vita quotidiana, che puoi mettere in pratica direttamente oppure suggerire ad una persona che ti circonda.

  1. Pratica della Mindfulness. Allenarsi nella consapevolezza del momento presente aiuta a sviluppare una maggiore sensibilità emotiva e ad accogliere le proprie esperienze con più gentilezza e compassione.
  2. Espressione creativa. Esplorare forme creative di espressione, come l’arte, la scrittura o la musica, può offrire un canale alternativo per comunicare ed elaborare le emozioni.
  3. Attività fisica. L’esercizio fisico regolare favorisce il rilascio di endorfine e migliora il tono dell’umore, contribuendo a ridurre lo stress e a promuovere una maggiore consapevolezza emotiva.
  4. Mantenere un diario emotivo. Tenere traccia scritta delle proprie emozioni su un diario aiuta non solo ad identificare i modelli emotivi e ad esplorare le cause sottostanti dei propri sentimenti, ma anche ad allenarsi a sentire l’emozione, a percepire come si muove nel corpo e come ci sentiamo in relazione a quest’ultima.

Queste strategie, in ogni caso, non si sostituiscono alla ricerca di un supporto professionale e qualificato, che rimane l’approccio d’elezione per esplorare il complesso sottobosco psicologico dell’alessitimia.


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Foto professionale della Dott.ssa Elisa Scala, medico psicoterapeuta a Novara
Ricevo a Novara e online

Medico psicoterapeuta

Sono iscritta all’Albo Professionale dei Medici dall’anno 2008 ed esercito la professione di Psicoterapeuta sia per mezzo di sedute online (via Zoom o Skype) che in presenza nel mio Studio privato vicino al centro storico di Novara.

Perché rivolgersi ad un medico psicoterapeuta?

Grazie alla sua duplice formazione medica e psicoterapeutica, un medico psicoterapeuta è in grado di valutare il paziente non solo dal punto di vista meramente psicologico, ma anche di considerare eventuali fattori biologici, medici e farmacologici che possono influenzare il disturbo, conflitto interiore o disagio portato dal paziente.

Questo permette una presa in carico olistica, in cui si possono trattare problematiche emotive, psichiche e fisiche in modo sinergico, personalizzando il percorso terapeutico per ottenere risultati più efficaci e duraturi.

I vantaggi tangibili per il paziente consistono in tempi mediamente più brevi rispetto alla psicoterapia tradizionale e senza limitarsi a quella che potrei definire come “terapia dell’ascolto”.

Dott.ssa Elisa Scala, medico psicoterapeuta a Novara