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L’identificazione in psicologia è una modalità con cui un individuo edifica e plasma la propria personalità assimilando dei tratti provenienti dall’esterno. In questo modo, si identifica (letteralmente, si fa identico) con determinate persone, gruppi, squadre di calcio o perfino ideali, interiorizzando i loro tratti, caratteristiche, valori e comportamenti come se a tutti gli effetti fossero suoi.

Nell’articolo ti illustrerò le dinamiche alla base del meccanismo dell’identificazione, una spiegazione semplice dell’identificazione proiettiva e quali effetti produce sulla psicologia individuale, oltre alla sottile differenza tra proiezione e identificazione proiettiva.

Se è vero che l’identificazione in psicologia è una dinamica comune e di per sé assolutamente non preoccupante, nella seconda metà dell’articolo approfondirò alcune indicazioni per stabilire quando questo meccanismo entra nel campo della disfunzionalità in modo da intervenire per correggerne gli effetti negativi e tornare ad impossessarsi dei contenuti trasferiti all’esterno.

Definizione e significato dell’identificazione psicologica

L’identificazione è un potente meccanismo psicologico che permette di modellare la nostra personalità impossessandoci di qualità, elementi, aspetti, atteggiamenti e valori degli altri individui che ci circondano, in genere come reazione ad una frustrazione o privazione interna.

È un processo che inizia fin dall’infanzia e continua incessantemente durante l’intero arco della vita, influenzando la nostra percezione di noi stessi e il modo in cui ci relazioniamo con il mondo esterno.

Le due fasi dell’identificazione: come può diventare un meccanismo di difesa?

L’identificazione in psicologia è una dinamica principalmente inconscia che, nella sua forma primaria, ha come finalità principale la capacità di distinguere la propria identità da quella degli altri. In una fase iniziale, questo processo è legato alla relazione con la figura materna, mirando a stabilire una separazione e un’individuazione dagli altri.

In un momento successivo si evolve in una modalità secondaria che permette, dopo la fase di identificazione con i genitori, l’edificazione di una propria soggettività distinta. Durante questa fase, l’identificazione assume anche il ruolo di un meccanismo di difesa, dal momento che riduce la distanza emotiva tra sé e gli oggetti, permettendo di negare la propria separazione da essi. È un processo complesso che influisce sulla strutturazione della nostra identità e sulla capacità di relazionarci con il mondo circostante.

L’identificazione gioca quindi un ruolo cruciale nel nostro sviluppo psicologico, nella definizione dei nostri confini personali e nell’interazione con gli altri, oltre a influenzare il modo in cui ci percepiamo, pensiamo, sentiamo e agiamo.

Può avere molteplici forme, motivazioni e modalità di manifestazione, ma i meccanismi che ne stanno alla base sono sostanzialmente sempre gli stessi e derivano da dinamiche psicologiche e sociali ben note.

I meccanismi psicologici dietro all’identificazione

Uno dei principali meccanismi alla base dell’identificazione in psicologia è l’empatia, che ci permette di comprendere e sentire intimamente ciò che gli altri provano, come se ci fosse un canale elettivo di comunicazione diretta con il prossimo. Attraverso l’empatia, siamo in grado di metterci nei panni degli altri e percepire le loro esperienze, emozioni e bisogni.

Un altro meccanismo importante è l’idealizzazione, in cui percepiamo determinate persone come modelli di perfezione o fonti di ispirazione, ponendole letteralmente su un piedistallo. Questa idealizzazione può portarci a desiderare di essere come loro e a cercare di emulare i loro comportamenti e tratti che percepiamo come positivi.

Dobbiamo ricordare anche che il processo di identificazione può essere influenzato dal nostro bisogno di appartenenza e accettazione sociale. Quando ci identifichiamo con determinati gruppi o comunità, tendiamo ad assorbire gli aspetti distintivi di tali gruppi come parte della nostra identità personale.

L’identificazione può anche essere influenzata dai nostri bisogni psicologici non soddisfatti. Per fare un esempio, se abbiamo un bisogno di amore e di affetto non appagato (situazione piuttosto frequente e diffusa), potremmo facilmente identificarci con persone che ai nostri occhi incarnano l’amore e la gentilezza, nella speranza di colmare quel vuoto emotivo.

È importante, comunque, sottolineare che l’identificazione in psicologia si manifesta in genere come un processo dinamico e fluido. Le nostre identificazioni possono cambiare nel corso della vita in base alle nostre esperienze, alle relazioni che sviluppiamo e ai modelli di riferimento che acquisiamo o dismettiamo lungo il percorso.

L’identificazione proiettiva: spiegazione semplice e significato in psicologia

L’identificazione proiettiva è un concetto più complesso che coinvolge una dinamica interpersonale più profonda rispetto sia alla semplice proiezione che all’identificazione.

La proiezione è un meccanismo di difesa attraverso il quale una persona (soggetto proiettante) attribuisce ad un altro individuo (l’oggetto ricevente) pensieri, sentimenti, emozioni, impulsi inconfessabili o desideri che appartengono a sé stessa, ma che risultano inaccettabili o difficili da riconoscere. In altre parole, invece di accettare la presenza di queste caratteristiche in sé, la persona “proietta” tali emozioni o impulsi sugli altri, vedendoli come se fossero esterni a sé stessa.

Questi aspetti proiettati sono spesso vissuti come disturbanti o indesiderati, e la persona proiettante non riesce a riconoscerli o gestirli consapevolmente. La proiezione è un affascinante automatismo psicologico che va ad influenzare notevolmente le nostre relazioni e la percezione stessa della realtà.

Per dare invece una spiegazione semplice dell’identificazione proiettiva, possiamo vedere che qui non solo la persona proietta parti di sé sugli altri, ma induce l’altro a sentire o agire in accordo con ciò che è stato proiettato. Il soggetto proiettante, quindi, “inserisce” parti di sé nell’altro e poi ci si relaziona come se queste parti fossero effettivamente presenti nel suo interlocutore.

In pratica, l’altra persona potrebbe cominciare inconsapevolmente a comportarsi o a sentirsi in linea con ciò che è stato proiettato, innescando così una sorta di ciclo emotivo o comportamentale tra i due individui.

Differenza tra proiezione e identificazione proiettiva

Proiezione e identificazione proiettiva sono due meccanismi di difesa psicologici descritti principalmente nell’ambito della psicoanalisi, pur presentando differenze importanti nel modo in cui operano e nei loro effetti sui rapporti interpersonali.

L’identificazione proiettiva è stata rappresentata per la prima volta dalla psicanalista britannica Melanie Klein nella sua opera Note su alcuni meccanismi schizoidi (1946) in cui ha studiato queste dinamiche mentali inconsce nel bambino che sviluppa fantasie sulla possibilità di inserire parti di sé dentro il corpo materno per arrivare ad occuparlo e dominarlo.

L’identificazione proiettiva va quindi oltre la semplice proiezione, dal momento che prevede un coinvolgimento emotivo più profondo in cui l’individuo scivola in una tale immedesimazione con la sua proiezione che inizia a diventare un tutt’uno con lei e con l’oggetto.

Qual è quindi la differenza tra proiezione e identificazione proiettiva?

Per fartela più essenziale, non siamo di fronte ad una mera proiezione o spostamento di un tratto psicologico da sé stessi ad un’altra persona, ma ad una profonda, intricata e intima fusione con l’oggetto o con la persona su cui abbiamo riversato la proiezione stessa.

Per riassumere, vediamo le differenze chiave:

Proiezione

  • La persona attribuisce i propri sentimenti o desideri su qualcun altro, ma non induce l’altra persona a comportarsi di conseguenza.
  • La proiezione è più “unidirezionale” e tende ad essere meno multisfaccettata.
  • Non implica necessariamente un coinvolgimento attivo dell’altra persona, che può fungere da “ricevitore” passivo e inconsapevole.

Identificazione proiettiva

  • Oltre a proiettare i propri sentimenti o tratti caratteriali inaccettabili, la persona induce l’altro a sentire o agire in accordo con la proiezione.
  • Coinvolge un processo interpersonale più profondo, dove l’altra persona può davvero “assorbire” le emozioni proiettate e comportarsi di conseguenza.
  • Genera una dinamica intricata di relazione tra chi proietta e chi riceve la proiezione.

L’identificazione proiettiva finisce spesso con il generare più inquietudini di quante non sia effettivamente in grado di eliminare: non è infrequente, ad esempio, la comparsa della paura ansiogena di poter essere perseguitato dall’altro, di vedere ricambiato questo meccanismo che gli abbiamo riservato, oppure ancora di perdere irrimediabilmente nell’altro delle parti buone di sé.

Anche se l’identificazione proiettiva può essere osservata nei casi di psicopatologie più gravi, come nel disturbo borderline di personalità o nei disturbi schizoidi, non è limitata a questi casi. Si può, infatti, verificare anche in situazioni quotidiane o in relazioni non patologiche, pur in forma meno estrema.

L’identificazione proiettiva secondo Ogden: le tre fasi

Thomas Ogden con la sua opera tradotta in italiano Identificazione proiettiva e tecnica psicoanalitica (1994) è uno degli autori che più ha indagato e descritto questa dinamica psicologica, individuando in particolare tre fasi principali: proiezione (che abbiamo visto sopra e di cui riporterò un ulteriore esempio fra poco), induzione/pressione interpersonale e riacquisizione/reinternalizzazione.

La fase di induzione rappresenta la dinamica interpersonale che caratterizza l’identificazione proiettiva. La persona proiettante non solo proietta parti di sé sull’altro, ma in qualche modo induce il destinatario della proiezione a sentire o comportarsi in linea con ciò che è stato proiettato.

Alla luce di questa fase, vediamo che non è possibile parlare di identificazione proiettiva se i due soggetti non hanno modo di interagire concretamente tra di loro. In altri termini, deve sussistere un rapporto interpersonale, meglio se stretto, intimo o di dipendenza, come quello tra paziente e terapeuta, tra madre e figlio o tra due partner.

Secondo Ogden la proiezione rimane, invece, un processo puramente “intrapsichico”.

Per fare un esempio con l’insicurezza, la persona proiettante potrebbe trattare l’altro in modo tale da indurlo a sentirsi davvero insicuro, ad esempio criticandolo o sminuendolo di continuo. Questa induzione fa sì che l’altro interiorizzi l’aspetto proiettato.

Nella terza fase di riacquisizione o reinternalizzazione, il soggetto proiettante riassorbe l’emozione o l’aspetto proiettato sull’altro, ma ora può farlo con una maggiore consapevolezza. Questo processo può avvenire sia in modo adattivo che disadattivo. Nella sua forma adattiva, la persona riconosce e integra ciò che era stato proiettato, diventando più cosciente delle proprie emozioni e impulsi. Nella sua forma patologica o disadattiva, la persona può invece continuare a distorcere la realtà e a mantenere in vita la dinamica di proiezione.

Ad esempio, se il soggetto inizialmente proietta la propria insicurezza, dopo aver visto l’altro comportarsi in modo insicuro, può “recuperare” questa insicurezza, riconoscendola come propria (in un processo terapeutico), oppure continuare a vivere l’illusione che l’altro sia veramente insicuro e che il problema risieda solo in lui.

Vediamo la proiezione in azione: come modella le nostre relazioni?

Per aiutarti a capire meglio lo schema base di funzionamento della proiezione in psicologia, ti riporto un ulteriore esempio concreto.

Immagina un aspetto di te che ti provoca disagio o che, quasi sempre a causa dell’insieme dei condizionamenti registrati durante l’infanzia, non vuoi o non puoi accettare. Hai dentro di te una vera “patata bollente” di cui ti vuoi sbarazzare in qualunque modo possibile, pena il non essere accettati dagli altri e, da piccoli, l’impossibilità stessa di sopravvivere. Può essere l’aggressività, un pensiero ossessivo di recare danno ad un’altra persona, un tratto disonesto o una debolezza emotiva.

Al posto di vederlo, riconoscerlo ed affrontarlo direttamente, il subconscio cerca un modo per disfarsene, per rimuoverlo dai radar della coscienza.

Ecco dove entra in gioco la proiezione. Senza rendercene conto, iniziamo ad attribuire e a vedere quel tratto insostenibile negli altri, come se fosse una parte di loro e non di noi stessi.

Non solo, ma passeremo molto rapidamente anche a criticare i destinatari della proiezione, in una sorta di crociata contro quella parte che non sopportiamo.

La proiezione è quindi da considerarsi come un meccanismo di difesa comune, in cui le persone tendono a rimuovere o negare aspetti indesiderati di loro stesse, attribuendoli agli altri.

Tra l’altro, la proiezione non ha la necessità stretta di trovare una persona che incarni alla perfezione quell’aspetto rifiutato, dal momento che non conta tanto quello che realmente l’altro È, ma solamente come noi lo PERCEPIAMO e lo rappresentiamo interiormente.

La proiezione come schermo implacabile che mette in scena i nostri lati oscuri

In quest’ottica possiamo vedere come, grazie alla proiezione, gli altri vestono le nostre ombre e ci facilitano la possibilità di condurre un vero lavoro psicologico di esplorazione e di gestione delle fratture interiori.

Tornando all’identificazione proiettiva, vediamo che questo processo può attivarsi in contesti diversi, sia nelle relazioni interpersonali che nell’ambito di un percorso di psicoterapia.

Ad esempio, in una relazione sentimentale una persona potrebbe proiettare le sue insicurezze o paure sul partner, percependo quest’ultimo come insicuro o minaccioso, quando in realtà tali aspetti appartengono a lei. Nella terapia, l’identificazione proiettiva può emergere quando il paziente proietta parti di sé stesso sul terapeuta e poi si identifica con i contenuti di questa proiezione.

È importante sottolineare che l’identificazione proiettiva solitamente è un meccanismo complesso e sottile da individuare, dal momento che coinvolge la fusione di parti interne ed esterne dell’individuo.

In altri termini, c’è un trasferimento, pur fittizio, di parti di sé dalla persona all’esterno, seguito da una sorta di riappropriazione tramite il meccanismo dell’identificazione.

Se non riesco a vedere una parte di me direttamente al mio interno, allora mi è molto più facile portarla fuori, proiettandola su un’altra persona e dandomi in questo modo la possibilità di conoscerla più facilmente.

Se però non riconosco la proiezione come meccanismo di difesa e non la ritiro, mi relazionerò con il suo contenuto come se non mi appartenesse, come se fosse esterno a me, e dunque sprecherò la possibilità di accrescere la mia consapevolezza e di procedere verso un risanamento delle fratture interiori.

Comprendere e lavorare con l’identificazione proiettiva è un aspetto cruciale del processo terapeutico proprio perché consente di esplorare e comprendere i tratti nascosti e non riconosciuti di sé stessi.

L’identificazione psicologica nel contesto della Psicoterapia Medica Olistica

Nell’approccio che caratterizza la Psicoterapia Medica Olistica, l’identificazione psicologica riveste un ruolo di fondamentale importanza. Questa forma di terapia si focalizza su una visione dell’essere umano nella sua totalità, includendo aspetti fisici, emotivi, mentali e spirituali.

L’identificazione, intesa come processo attraverso il quale un individuo edifica la propria personalità interiorizzando tratti degli altri, assume un significato particolare in questo approccio.

La psicoterapia olistica esplora infatti a fondo la complessa interazione tra l’individuo e il suo ambiente, comprese le influenze sociali, culturali e relazionali. L’identificazione diventa così una lente attraverso cui esaminare le modalità con cui le persone si identificano con gli altri e definiscono i propri confini personali.

L’identificazione come opportunità per conoscere meglio sé stessi

Nel lavoro terapeutico, l’identificazione può emergere come una modalità psicologica attraverso cui un individuo cerca di comprendere sé stesso e di vedere ciò che gli appartiene e fa parte della sua identità. Può anche coinvolgere l’assunzione di ruoli o comportamenti simili a quelli dei modelli di riferimento al fine di trovare un senso di appartenenza o di valorizzazione di sé.

Come si può però immaginare, l’identificazione diventa facilmente un limite alla libertà individuale e alla possibilità di sviluppare una vera identità autentica.

La prima fase del lavoro prevede il riconoscimento della dinamica e delle modalità con cui si è instaurata, oltre ad individuare tutti i vantaggi che l’identificazione ha garantito al paziente fino a quel momento. In un secondo momento, il trattamento terapeutico lavora su eventuali proiezioni, esplorando la possibilità di riacquisire direttamente il loro contenuto, riportandolo su di sé e in sé.

È importante sottolineare che l’identificazione spesso è funzionale, quindi non ha necessariamente come oggetto lati di noi che dobbiamo in qualche modo lasciare andare e idealmente restituire agli altri. In molti casi, anzi, è utile conferire a questi tratti pieno diritto di cittadinanza in noi, immergendoli nella luce della nostra coscienza.

Un vero approccio olistico in psicologia offre, in quest’ottica, uno spazio sicuro e protetto per esplorare tali dinamiche, comprenderne le radici profonde e liberarsi dai condizionamenti limitanti. Grazie ad un processo di espansione della consapevolezza, questa terapia mira a favorire una crescita personale per consentire al paziente di riconoscere e di riappropriarsi della propria unicità, al di là delle influenze e confluenze esterne.

Gli effetti dell’identificazione sulla psicologia individuale

Quando parliamo di identificazione in psicologia, non ci riferiamo semplicemente all’imitazione superficiale degli altri, ma ad un processo più profondo che coinvolge l’interiorizzazione di determinati aspetti delle persone che ammiriamo, rispettiamo o che risultano particolarmente significative ai nostri occhi. Questo può includere modelli di comportamento, atteggiamenti, stili di pensiero, valori e persino caratteristiche di personalità.

Da sottolineare che l’ammirazione, soprattutto se sincera e scaturente dal nostro Io più autentico, è una dinamica che ci avvicina alla qualità dell’altra persona che ne risulta oggetto, abbattendo le barriere e riducendo le distanze.

Come abbiamo visto, l’identificazione avviene attraverso un processo di osservazione, apprendimento e assimilazione, in cui assorbiamo determinati attributi degli altri nella visione che abbiamo di noi stessi. Può essere un processo consapevole oppure inconscio, coinvolgendo figure significative come i genitori, i familiari, gli amici, i modelli di riferimento della società o persino personaggi di film, libri o altri tipi di media digitali.

L’identificazione porta davvero alla perdita di sé stessi?

È importante sottolineare che l’identificazione in psicologia non significa perdere la propria individualità o diventare una copia esatta degli altri. In linea generale, dobbiamo vederla come un processo di integrazione e selezione, in cui scegliamo consapevolmente o inconsciamente quali tratti e aspetti degli altri risuonano con la nostra natura e li adottiamo come parte del nostro essere.

Una sana identificazione implica l’assimilazione consapevole di alcune qualità desiderabili degli altri, senza arrivare a perdere di vista le proprie peculiarità e autenticità.

Alla luce di quello che abbiamo visto, l’identificazione non deve essere intesa come una negazione o una soppressione dell’identità individuale, ma piuttosto come un’opportunità preziosa (se riconosciuta e vista adeguatamente) di apprendimento e di allargamento dei propri orizzonti personali.

Identificazione e introiezione in psicologia: la teoria del sé in azione

Prima di chiudere questo articolo, voglio trattare un argomento molto noto nel “dietro le quinte” dell’ambiente della psicoterapia: l’introietto e il meccanismo dell’introiezione.

Nell’ambito della psicologia umana, l’identificazione e l’introiezione sono concetti che descrivono due forme di internalizzazione di tratti o caratteristiche di altri individui. Anche se possono sembrare simili, presentano alcune differenze significative che andiamo adesso a vedere.

Il concetto di introiezione è stato studiato a fondo dalla Psicoterapia della Gestalt, che possiede come proprio fondamento essenziale la teoria del sé. Secondo questa concezione, il sé è visto non come una struttura indipendente, ma come funzione di adattamento creativo all’ambiente che lo circonda.

Portando questo ragionamento all’estremo, senza l’ambiente esterno non esisterebbe nemmeno il sé, quantomeno non per come lo conosciamo.

Nella teoria del sé troviamo due costrutti fondamentali: le difese, che ho già parzialmente trattato in altri articoli, e l’introietto.

Le difese psicologiche: un prezioso alleato per proteggere le nostre parti fragili

Solo per richiamare il concetto di fondo, le difese psicologiche sono vere e proprie strategie del nostro sé per affrontare e gestire gli scambi con l’ambiente circostante. Queste modalità, sebbene inizialmente utili per proteggerci da situazioni stressanti o minacciose, possono nel tempo diventare rigide e cristallizzate. Si trasformano in automatismi ripetitivi e meccanici che si attivano a comando nel momento in cui dall’esterno arriva uno stimolo che agisce come trigger specifico.

Le difese, in questo modo, sono in grado di modellare il nostro essere, tracciando dei confini interiori precisi per non fare arrivare determinati impulsi, interni od esterni, oltre una certa soglia.

Queste difese possono prendere varie forme, come la negazione, la razionalizzazione, la proiezione, la repressione e molti altri ancora.

La negazione ci permette, ad esempio, di evitare temporaneamente un evento doloroso come un lutto, posticipando il momento in cui entreremo in contatto con le emozioni associate, mentre la razionalizzazione aiuta a giustificare le nostre azioni o pensieri controversi e la proiezione, già vista, consente di trasferire su qualcun altro le nostre emozioni o desideri inaccettabili.

Le introiezioni: come diventano i nostri compagni invisibili nella vita adulta

L’introiezione in psicologia è un processo attraverso il quale un individuo assimila e incorpora nel proprio sistema di valori e convinzioni uno standard esterno proveniente dalla società, dalla famiglia o da figure di autorità.

Come accennato sopra, gli introietti rappresentano un concetto elaborato in parallelo dalla Gestalt e dalla psicoanalisi post-freudiana, essendo stato ripreso successivamente da Violet Oaklander che lo ha posto al centro del lavoro nell’ambito della psicoterapia infantile.

Oaklander ci ricorda che i bambini piccoli non sono in grado di difendersi dalle introiezioni che gli adulti lanciano in continuazione su di loro. Molti di questi introietti hanno modo di radicarsi per tutta la vita e l’unica cosa che possiamo fare è imparare a gestirli al meglio. Vi è comunque da dire che non tutte le introiezioni sono negative.

Introiezione psicologia esempio

Questi introietti possono derivare da specifiche frasi pronunciate dai genitori con un certo tono, ma anche da tutte le espressioni non verbali associate. I bambini, inoltre, essendo egocentrici per natura, si colpevolizzano per tutto ciò che di negativo accade intorno a loro, incluso ciò che non ha nulla a che fare con la loro responsabilità. Ad esempio, se una madre soffre spesso di mal di testa, una figlia può sentirsi in qualche modo colpevole.

Non dobbiamo comunque pensare all’introiezione come originata solo da critiche o da toni in qualche modo di giudizio, dal momento che anche le frasi positive possono trasformarsi in introietti negativi. Se diciamo a nostro figlio “sei il bambino migliore del mondo”, lui potrebbe facilmente trovarsi in una situazione imbarazzante. Se da un lato, infatti, sarà orgoglioso di ricevere tale lode, dall’altro sa perfettamente che non è vera (solo ieri, ad esempio, ha messo in campo dei comportamenti negativi). Questa evidente discrepanza può causare una frammentazione interna dell’identità, lasciando il bambino confuso e incerto sul proprio valore.

Un altro esempio di introiezione originata da frasi favorevoli potrebbe essere il caso di un bambino che, crescendo in un ambiente in cui viene costantemente elogiato per il suo rendimento scolastico, interiorizza l’idea che il proprio valore sia strettamente legato al successo a scuola. In questo scenario, il bambino potrebbe introiettare il bisogno di eccellere nell’apprendimento (e, più avanti, nel lavoro o nella professione) come criterio principale per sentirsi apprezzato e accettato.

Fritz Perls, il fondatore della psicologia della Gestalt, ha messo a fuoco un altro aspetto derivante dall’asfissiante adozione dell’introiezione come meccanismo di difesa: il doverismo. Possiamo vederlo nella forma realistica di persone che si muovono goffamente nel mondo, guidate dal moralismo, da imperativi interiori, dal loro Super-Io ipertrofico, da idee preconfezionate e accettate acriticamente, nonché da un costante “tu devi”.

L’introiezione è un meccanismo di difesa?

Gli introietti nella maggior parte delle situazioni provengono dalla famiglia d’origine, da idee e valori che non sono stati digeriti e metabolizzati in modo profondo, trasformandosi in una morale rigida piuttosto che in un’etica autentica.

“Ecco perché siamo stati invasi da un meccanismo di difesa chiamato introiezione, l’abitudine di inghiottire tutto ciò che ci viene dato, senza alcuna discriminazione o analisi critica. Abbiamo digerito le opinioni dei nostri genitori, dei nostri insegnanti, delle nostre chiese, delle nostre società. Abbiamo divorato le idee e le credenze degli altri senza mai chiederci se fossero veramente utili o in linea con la nostra natura autentica. E così ci siamo persi nel labirinto delle opinioni altrui, dimenticando chi siamo veramente.”

Fritz Perls

L’introiezione si riferisce quindi a un particolare meccanismo di difesa nel quale un individuo assimila e incorpora alcuni aspetti o valori di un’altra persona o di un gruppo sociale senza esaminarli criticamente. In altre parole, l’introietto implica un’assunzione acritica di idee, credenze o comportamenti, spesso per il bisogno di adattarsi o di essere accettati.

La danza delle introiezioni è complessa e sottile, e quasi sempre ciò che accade nell’infanzia lascia un’impronta profonda nella nostra psiche. È importante imparare a riconoscere questi introietti, a interrogarli e a trasformarli in modo che possiamo vivere una vita più autentica e in sintonia con il nostro vero sé.

Come superare gli effetti negativi dell’identificazione disfunzionale

Per superare gli effetti negativi che derivano da un’identificazione disfunzionale, è fondamentale avviare un processo di consapevolezza e trasformazione personale.

Il primo passo consiste nell’osservare attentamente i modelli di comportamento e le convinzioni che abbiamo interiorizzato, cercando di identificarne l’origine e il loro impatto attuale sulla nostra vita. Successivamente, è necessario mettere in discussione tali modelli e valutare se sono ancora congruenti con la nostra autenticità e i nostri valori personali.

In molti casi può risultare molto utile lavorare con uno psicoterapeuta, meglio se ad indirizzo olistico, che possa offrire sostegno e orientamento nel processo di esplorazione delle nostre esperienze passate, delle emozioni e dei bisogni profondi non adeguatamente riconosciuti. Solo in questo modo è possibile riconnetterci con il nostro vero sé e recuperare una maggiore autonomia e autenticità, al di là delle inevitabili sovrastrutture e difese che abbiamo edificato soprattutto durante l’infanzia.

Come ulteriore aspetto, è importante coltivare la pratica dell’autocompassione e del perdono verso noi stessi, accettando che l’identificazione disfunzionale è stata una risposta adattativa che ha avuto senso in un determinato contesto della nostra esistenza, ma che ora possiamo scegliere di lasciare andare per il nostro benessere e la nostra crescita personale.


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Foto professionale della Dott.ssa Elisa Scala, medico psicoterapeuta a Novara
Ricevo a Novara e online

Medico psicoterapeuta

Sono iscritta all’Albo Professionale dei Medici dall’anno 2008 ed esercito la professione di Psicoterapeuta sia per mezzo di sedute online (via Zoom o Skype) che in presenza nel mio Studio privato vicino al centro storico di Novara.

Perché rivolgersi ad un medico psicoterapeuta?

Grazie alla sua duplice formazione medica e psicoterapeutica, un medico psicoterapeuta è in grado di valutare il paziente non solo dal punto di vista meramente psicologico, ma anche di considerare eventuali fattori biologici, medici e farmacologici che possono influenzare il disturbo, conflitto interiore o disagio portato dal paziente.

Questo permette una presa in carico olistica, in cui si possono trattare problematiche emotive, psichiche e fisiche in modo sinergico, personalizzando il percorso terapeutico per ottenere risultati più efficaci e duraturi.

I vantaggi tangibili per il paziente consistono in tempi mediamente più brevi rispetto alla psicoterapia tradizionale e senza limitarsi a quella che potrei definire come “terapia dell’ascolto”.

Dott.ssa Elisa Scala, medico psicoterapeuta a Novara