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Il perfezionismo patologico, sovrapponibile almeno in parte al perfezionismo compulsivo e al perfezionismo nevrotico, a prima vista può sembrare una maniacale ricerca dell’eccellenza, ma in realtà è una trappola psicologica che paralizza, schiavizza e logora chi ne è vittima.

In molti casi, la perfezione a cui si tende non è frutto di un desiderio autentico, ma il risultato di aspettative interiorizzate che alimentano ansia, insoddisfazione e senso di inadeguatezza.

Come emerge da un’ampia ricerca recente, l’incidenza di tratti perfezionistici nelle nuove generazioni è cresciuta del 33% nell’ultimo decennio, segnalando un preoccupante mutamento nei meccanismi psicologici di elaborazione del successo.

Oltre una determinata soglia il perfezionismo non è un pregio, come spesso si crede, ma un meccanismo di difesa che rivela profondi squilibri emotivi e psicologici, capaci di compromettere la qualità della vita personale e relazionale.

Come medico psicoterapeuta con un approccio olistico, osservo quotidianamente come questo disturbo colpisca persone apparentemente di successo come professionisti, studenti e genitori che si pongono aspettative irraggiungibili. Non solo, ma anche una persona che non riveste alcun ruolo apicale in un’azienda o in una qualsivoglia struttura gerarchica, che potremmo quindi definire “comune”, può risultarne affetta.

Il buon esito dei percorsi terapeutici dimostra però che è possibile ricostruire un rapporto sano con sé stessi, trasformando il perfezionismo compulsivo da ostacolo in opportunità di crescita personale.

In questo articolo vedremo nel dettaglio cos’è il perfezionismo patologico, i tre tipi principali di perfezionismo disfunzionale, cosa nasconde il perfezionismo sul piano psicologico, i vuoti e le mancanze che alimentano questo comportamento, nonché un breve test di autovalutazione che si può completare in piena autonomia.

Alla fine vedremo come impostare un valido percorso di guarigione, che deve necessariamente passare dall’esplorazione del complesso sottobosco psicologico che si nasconde dietro la facciata socialmente spendibile della persona precisa a tutti i costi.

Cosa significa essere perfezionisti patologici

Essere perfezionisti patologici significa vivere sotto la costante pressione di dover fare tutto in modo impeccabile, senza possibilità di errori o cedimenti di sorta.

Il perfezionismo patologico si caratterizza come un pattern comportamentale ossessivo in cui l’individuo stabilisce standard irragionevolmente elevati per sé stesso e si impone di aderirvi al millimetro. Non si tratta semplicemente del desiderio di migliorarsi o di puntare all’eccellenza, che di per sé può configurarsi anche in maniera perfettamente sana, ma di una spinta interiore rigida e totalizzante che impone livelli altissimi in ogni ambito della vita, dal lavoro alle relazioni.

Chi è affetto da perfezionismo compulsivo sente che il proprio valore dipende dal raggiungimento di questi obiettivi irrealistici, e ogni deviazione da questi è vissuta come una colpa o una minaccia alla propria identità. Questo atteggiamento confluisce in meccanismi d’ansia, senso di inadeguatezza e spesso una paralisi decisionale, proprio perché il timore di sbagliare è così forte da bloccare l’azione.

Inutile dire anche che ogni decisione che va in porto richiede un consumo di energie psichiche nettamente superiore alla media.

Il perfezionista patologico non riesce infatti a concedersi tregua, né a riconoscere davvero i propri successi, rimanendo intrappolato in un ciclo estenuante di richieste irrealistiche a sé stesso ed insoddisfazione inguaribile.

Vediamo adesso cosa nasconde il perfezionismo, soprattutto quello disfunzionale, iniziando ad esplorare il dietro le quinte di questo disturbo.

Le origini psicologiche del perfezionismo patologico

Le origini psicologiche del perfezionismo affondano le radici in complessi meccanismi di sviluppo della personalità. Fin dall’infanzia, alcuni bambini sviluppano questo tratto come strategia di adattamento e protezione emotiva, spesso in contesti familiari caratterizzati da aspettative elevate o da critiche frequenti che hanno modellato uno stile di attaccamento insicuro.

I genitori iperprotettivi o eccessivamente esigenti possono involontariamente contribuire alla strutturazione di un sistema di valutazione di sé basato sul raggiungimento costante di standard irraggiungibili (detto anche accettazione condizionata), in cui il valore personale veniva riconosciuto solo a fronte di prestazioni impeccabili o comportamenti irreprensibili.

In questi casi, l’amore e il riconoscimento venivano percepiti come legati al successo e all’assenza di errore, generando nel tempo un senso di identità fragile, sostenuto da standard irrealistici e da un bisogno costante di approvazione esterna.

Questo meccanismo, inizialmente adattivo per ottenere riconoscimento o evitare punizioni, si cronicizza e si irrigidisce, trasformandosi in una gabbia.

A livello psicologico, il perfezionismo nasconde quindi la paura del rifiuto, un senso di controllo compensativo ed un bisogno viscerale di dimostrare il proprio valore.

Questi soggetti sviluppano un’identità fortemente legata alla prestazione, dove l’autostima diventa un fragile costrutto continuamente minacciato dalla paura di non essere abbastanza. La conseguenza diretta è un’ansia performativa che paralizza, trasformando ogni compito in una potenziale fonte di giudizio e valutazione personale. Paradossalmente, il perfezionismo che ci rovina la vita nasce come meccanismo di difesa ma finisce per diventare esso stesso una sorgente di profonda sofferenza psicologica.

Le ricerche internazionali concordano nell’identificare l’evoluzione tecnologica con l’avvento dei social media e i nuovi modelli di comunicazione digitale come principali catalizzatori dell’incremento dei tratti perfezionistici, trasformando quello che un tempo era un meccanismo di protezione in una vera e propria trappola psicologica.

Differenza tra sana ricerca dell’eccellenza e disturbo

La differenza tra una sana ricerca dell’eccellenza e il perfezionismo patologico risiede principalmente nella flessibilità, nella motivazione e nell’impatto sulla qualità della vita. Chi mira all’eccellenza è motivato da una spinta intrinseca al miglioramento, vive i propri traguardi con serenità e accetta naturalmente che l’errore faccia parte di un sano processo di crescita. Non significa naturalmente che l’errore costituisca un evento gradito, ma il soggetto è in grado di gestire bene le sue conseguenze psicologiche.

Al contrario, il perfezionista compulsivo vive ogni obiettivo come una prova esistenziale, dove il fallimento non è semplicemente un ostacolo, ma una minaccia diretta al proprio valore personale.

Per il perfezionista patologico c’è quindi molto di più in gioco, esattamente come per il bambino che deve a tutti i costi salvare il proprio legame di attaccamento con i caregiver, non potendosi permettere in alcun modo alcuna vera sbavatura.

L’eccellenza è caratterizzata da resilienza, flessibilità e gioia nel percorso di apprendimento. Il perfezionismo patologico produce invece rigidità, inquietudine costante ed un senso di inadeguatezza che agisce come una morsa spietata.

Una persona che cerca l’eccellenza è capace di festeggiare i propri successi, impara dai propri errori e mantiene un equilibrio emotivo. Il perfezionista compulsivo si punisce per ogni minima imperfezione, vive in uno stato di tensione continua e immola il benessere personale sull’altare di standard irraggiungibili.

La differenza fondamentale sta nella capacità di accettarsi, elemento cruciale che distingue un approccio costruttivo da uno distruttivo.

I tre volti del perfezionismo: patologico, compulsivo e nevrotico

Il perfezionismo patologico può sovrapporsi in parte sia al perfezionismo compulsivo che al perfezionismo nevrotico, ma non coincide pienamente con nessuno dei due. Si tratta di concetti affini ma con sfumature diverse a seconda del contesto teorico di riferimento.

  • Perfezionismo compulsivo è un termine più descrittivo, usato per indicare la componente comportamentale e più rigida del perfezionismo: il bisogno di controllo, l’attenzione ossessiva ai dettagli, l’incapacità di tollerare l’errore. È spesso associato a disturbi dello spettro ossessivo-compulsivo (OCD), in cui la compulsione al perfezionismo è un tentativo di placare l’ansia e i pensieri ossessivi legati all’imperfezione.
  • Perfezionismo nevrotico, invece, è un termine più psicodinamico e relazionale, descrivendo un perfezionismo motivato da paure inconsce, come il timore di non essere amati se imperfetti o il bisogno di espiare un senso di colpa profondo. Qui l’accento è posto sul conflitto interno e sul bisogno di approvazione esterna, e non solamente sul comportamento che emerge in superficie.
  • Perfezionismo patologico, infine, è un termine più generale e clinico, che può comprendere sia aspetti compulsivi sia nevrotici. Viene usato per indicare un perfezionismo che compromette il funzionamento psichico ed emotivo della persona, interferendo con la qualità della vita, la spontaneità e gli equilibri psico-fisici.

Sintomi e segnali del perfezionismo patologico

Il perfezionismo patologico che ci rovina la vita si manifesta attraverso una costellazione di sintomi che coinvolgono la sfera emotiva, comportamentale e relazionale. La persona che ne è affetta sperimenta un costante stato di insoddisfazione, dove ogni risultato viene immediatamente triturato in una sorta di buco nero che appare incolmabile. Questi soggetti sviluppano una forma di autocritica così pervasiva da compromettere la propria capacità di godere dei successi e dei traguardi raggiunti.

I segnali più evidenti includono un’eccessiva preoccupazione per i dettagli, la difficoltà a delegare compiti anche banali per paura che non vengano svolti “perfettamente” e un’analisi critica crudele e paralizzante che impedisce di portare a termine i progetti.

Le persone affette da questo disturbo possono impiegare un tempo eccessivo in ogni compito per evitare errori, rimandare decisioni per paura di sbagliare (la cosiddetta procrastinazione perfezionistica) e sperimentare un’angoscia intensa legata alla possibilità di fallire o deludere le aspettative. Anche la revisione ossessiva di ciò che si è detto o fatto, la necessità di continue conferme e il ritiro da situazioni sociali, soprattutto se vi è una componente agonistica o competitiva, sono segnali ricorrenti. Si possono osservare anche disturbi del sonno e frequenti stati depressivi.

Anche le relazioni interpersonali arrivano a risentirne. Il bisogno di controllo, l’intolleranza verso l’imperfezione altrui e la paura di essere giudicati rendono difficile la spontaneità e la connessione emotiva. Il perfezionista compulsivo tende ad allontanare gli altri, generando conflitti e isolamento sociale.

Il dialogo segreto del perfezionista patologico: le frasi che alimentano l’ansia e l’autocritica

Nella mente del perfezionista patologico si svolge un dialogo incessante, spesso invisibile agli altri ma profondamente logorante. Mentre una persona equilibrata potrebbe pensare “Ho commesso un errore, la prossima volta posso fare meglio o impegnarmi di più”, il perfezionista patologico si sommerge in un turbine di pensieri come “Sono completamente inadeguato”, “Non valgo nulla” o “Dovevo fare tutto perfettamente” che si ripetono come un mantra silenzioso, scandendo ogni suo gesto e decisione quotidiana.

Questo dialogo interno si configura come una vera e propria forma di violenza psicologica autoreferenziale, dove ogni azione viene sottoposta ad un giudizio estremo e paralizzante.

I pensieri assumono caratteristiche ampiamente distorte, in particolare:

  • Amplificazione di ogni minimo errore con toni catastrofici
  • Svalutazione globale del proprio valore personale
  • Confronto costante e deleterio con standard irraggiungibili
  • Negazione di qualsiasi forma di successo parziale

Le conseguenze psicologiche sono tentacolari e destabilizzanti, con l’individuo che sviluppa un meccanismo di autosabotaggio continuo, dove la paura di non essere all’altezza diventa più importante del reale raggiungimento degli obiettivi. Il paradosso è che più si cerca la perfezione, più ci si allontana da essa.

Il perfezionismo patologico e gli introietti: quando le voci degli altri colonizzano la nostra mente

Gli introietti sono modelli comportamentali e credenze apprese precocemente, spesso durante l’infanzia, che vengono “internalizzati” e successivamente riproposti come modalità automatiche di relazione con sé stessi e gli altri.

Nel perfezionismo patologico, gli introietti più frequenti derivano da:

  1. Modelli genitoriali
  • Critica costante
  • Approvazione condizionale
  • Amore vissuto solo come “da meritarsi”, quindi non garantito
  • Aspettative irrealistiche
  1. Introietti familiari tipici
  • “Sei bravo solo se sei il migliore”
  • “Non puoi sbagliare”
  • “Il tuo valore dipende dai tuoi risultati”
  • “Devi sempre far vedere che vali”
  1. Conseguenze psicologiche
  • Sviluppo di un Super-Io punitivo ed estremamente severo
  • Meccanismi di autodisciplina punitivi
  • Paura persistente del giudizio
  • Difficoltà di accettazione personale

Nella vita adulta, liberarsi da un introietto non è semplice senza un vero lavoro di natura psicologica. In alcuni casi, poi, non è nemmeno necessario espellerlo, ma è sufficiente riconoscere le voci che non ci appartengono e sviluppare un radicamento in sé stessi.

“Devo, quindi sono”: quando il doverismo alimenta il perfezionismo patologico

Alla base del perfezionismo patologico si annida spesso un sistema di credenze rigide cristallizzate attorno al verbo “dovere”. Si tratta del cosiddetto doverismo, un insieme di imperativi interiorizzati come “Devo riuscire”, “Non devo mai sbagliare”, “Devo sempre dare il massimo”, che diventano il metro con cui la persona soppesa il proprio valore.

Queste frasi, apprese spesso nell’infanzia in ambienti particolarmente esigenti o giudicanti, non lasciano spazio all’errore, alla vulnerabilità o al sentire autentico. Tutto viene vissuto come un compito da assolvere, un obiettivo da raggiungere per non deludere le aspettative, proprie o altrui. In questo modo il piacere si spegne, la spontaneità si inaridisce e ogni attività assume il sapore dell’obbligo.

La persona si impone un prezzo elevato da pagare anche quando si trova nella dimensione del piacere o dello svago. È così che l’andare in palestra, ad esempio, si modella intorno alla ricerca della prestazione, così come una camminata all’aperto o l’organizzazione di un viaggio. La persona è costantemente seguita dai propri schemi rigidi, e spesso sente che la vera vacanza di cui avrebbe bisogno è da sé stessa e da tutte le voci tormentanti che si sono radicate dentro di lei.

Quando si raggiunge un certo livello di consapevolezza, il soggetto percepisce che qualcosa dentro di sé non va e gli rema contro, ma si convince che quello sbagliato è lui. Tutto questo purtroppo non fa altro che esacerbare i conflitti e le tensioni interne.

Come abbiamo visto, il perfezionismo patologico non nasce solo dalla voglia di fare bene, ma da un senso più profondo e angosciante: l’obbligo di essere all’altezza per poter valere qualcosa.

Riconoscere il doverismo annidato nelle proprie frasi interiori è un primo passo fondamentale nel percorso terapeutico, consentendo di trasformare la costrizione in scelta e la performance in vera espressione di sé.

Le ferite emotive del perfezionista (e come ne soffrono i legami)

Dal punto di vista relazionale, il perfezionismo compulsivo agisce come un potente fattore di isolamento. L’individuo tende a stabilire relazioni basate su aspettative irrealistiche, sia verso sé stesso che verso gli altri, generando dinamiche disfunzionali.

I rapporti interpersonali diventano terreno di continua valutazione e giudizio, dove l’incapacità di accettare qualsivoglia imperfezione porta all’allontanamento progressivo di amici, partner e colleghi. La paura del giudizio e del rifiuto diventa così pervasiva da spingere il soggetto ad evitare situazioni sociali, relazioni intime e opportunità di crescita personale, innescando un meccanismo di auto-esclusione che amplifica la sofferenza iniziale.

Test rapido di autovalutazione: sei un perfezionista patologico?

Rispondi sinceramente alle 12 domande seguenti, attribuendo a ciascuna un punteggio da 0 a 3, dove:

0 = Mai | 1 = Qualche volta | 2 = Spesso | 3 = Sempre

Le domande sono declinate al maschile, ma si applicano senza problemi anche al sesso femminile.

  1. Ti senti ansioso o in qualche modo frustrato anche quando raggiungi risultati positivi?
  2. Ti capita spesso di non sentirti mai soddisfatto di ciò che fai, anche quando gli altri lodano il tuo lavoro?
  3. Rimandi attività per paura di non farle “perfettamente”?
  4. Hai la sensazione di non poterti mai concedere una pausa o un errore, altrimenti perderesti il controllo?
  5. Dedichi molto più tempo del necessario a compiti anche semplici, per controllare ogni minimo dettaglio?
  6. Tendi a svalutare i tuoi successi?
  7. Eviti situazioni nuove o impegnative per timore di non essere all’altezza?
  8. Hai difficoltà a delegare compiti per timore che non siano svolti al meglio?
  9. Ti paragoni spesso agli altri e ti senti inferiore se non eccelli in ciò che fai?
  10. Hai difficoltà ad accettare critiche o imperfezioni, tue oppure altrui?
  11. Il giudizio degli altri condiziona significativamente la tua autostima?
  12. Provi un senso di fallimento anche per piccoli errori?

Interpreta il tuo punteggio

Somma i punteggi delle singole risposte. Il totale può variare da 0 a 36.

  • 0-12 punti – Approccio sano verso gli obiettivi della vita
    • Riesci ad essere flessibile e a goderti ciò che fai. Il perfezionismo qui si manifesta in forma lieve e non disfunzionale, quindi non risulta una fonte di sofferenza significativa.
  • 13-24 punti – Perfezionismo moderato
    • Hai tratti perfezionistici che a volte ti ostacolano. Potresti sentirti sotto pressione o insoddisfatto anche quando non c’è un reale motivo, ma non vivi in una camera della tortura.
  • 25-36 punti – Rischio di perfezionismo disfunzionale
    • Sperimenti la costante sensazione di non essere mai abbastanza. Il perfezionismo è rigido, doloroso e ti impedisce di vivere con serenità. Un percorso psicologico ti può aiutare a liberarti da questi meccanismi.

Nota. Questo test sul perfezionismo patologico ha un mero valore orientativo. Per una valutazione approfondita è sempre consigliabile un colloquio professionale.

Come il perfezionismo può creare un terreno fertile per ansia e depressione

L’impatto del perfezionismo patologico sulla salute mentale è profondo e multifattoriale, investendo contemporaneamente le dimensioni cognitive, emotive e comportamentali. Questo meccanismo psicologico non rappresenta semplicemente un tratto della personalità, ma si configura come un vero e proprio fattore di rischio per lo sviluppo di disturbi psichiatrici conclamati.

Uno studio psicologico trasversale condotto presso l’Università di Toronto ha dimostrato una correlazione significativa tra perfezionismo compulsivo e insorgenza di disturbi psicologici, evidenziando come questo meccanismo non rappresenti semplicemente un tratto caratteriale, ma un potenziale fattore di rischio per la salute mentale.

La costante ricerca di standard irraggiungibili genera, infatti, un meccanismo di stress cronico che sovraccarica i sistemi di regolazione emotiva, compromettendo la resilienza psicologica dell’individuo.

Le conseguenze neuropsicologiche sono significative. L’attivazione prolungata del sistema nervoso simpatico produce un’elevata secrezione di cortisolo, l’ormone dello stress, che nel tempo può determinare alterazioni nei circuiti neurologici deputati alla gestione delle emozioni.

Questo sovraccarico si traduce in un aumentato rischio di sviluppare condizioni quali depressione maggiore, disturbi d’ansia generalizzata, attacchi di panico e persino forme di esaurimento emotivo.

L’ansia nel perfezionista si manifesta come una forma di anticipazione cognitiva del fallimento, dove la mente proietta costantemente scenari negativi e catastrofici. La depressione conseguente non è semplicemente una reazione a specifici eventi, ma l’esito di un progressivo svuotamento emotivo causato dall’impossibilità di raggiungere standard irraggiungibili.

Ne consegue una condizione che compromette la capacità di provare piacere e soddisfazione, elementi cruciali per il benessere psicologico.

La persona perfezionista sperimenta un paradossale meccanismo dove la ricerca maniacale del controllo finisce per generare una condizione di profonda perdita di controllo esistenziale.

Il prezzo del perfezionismo: burnout nella vita e nel lavoro

Il rischio di burnout per un perfezionista compulsivo rappresenta un processo insidioso di esaurimento progressivo ma inesorabile, che coinvolge simultaneamente la dimensione professionale e personale.

Sul piano lavorativo, il perfezionista sviluppa una modalità di approccio caratterizzata da un investimento energetico sproporzionato, dove ogni compito viene vissuto come una sfida esistenziale che richiede un impegno totalizzante. Questo meccanismo conduce rapidamente al prosciugamento delle risorse psicofisiche, alimentando una condizione di stress cronico che compromette non solo la performance, ma l’intera struttura motivazionale dell’individuo.

Le conseguenze personali del burnout perfezionista si manifestano attraverso una progressiva perdita di significato e di piacere nelle attività quotidiane. L’individuo sperimenta una condizione di svuotamento emotivo, dove l’iniziale spinta al raggiungimento degli obiettivi lascia progressivamente spazio ad un desolante senso di inadeguatezza e demotivazione.

Il paradosso risiede nel fatto che proprio il meccanismo messo in atto per raggiungere l’eccellenza diventa il principale ostacolo al benessere personale e professionale.

Percorsi di guarigione e superamento del perfezionismo patologico

I percorsi di guarigione dal perfezionismo compulsivo richiedono un approccio integrato e multidimensionale, che non si limiti ad una gestione sintomatologica di superficie ma sia in grado di lavorare ad un livello profondo sul sistema di credenze e sui meccanismi psicologici che si annidano dietro la facciata visibile del disturbo.

L’obiettivo non è eliminare l’ambizione o il desiderio di miglioramento, ma trasformare un meccanismo distruttivo in una modalità costruttiva di relazione con sé stessi e con gli obiettivi definiti contattando il proprio sentire autentico.

Un percorso terapeutico efficace si articola su più livelli:

  • cognitivo, dove si riprogrammano i pattern di interpretazione di sé e dell’ambiente circostante;
  • emotivo, dove si lavora sul riconoscimento e sulla capacità di stare a contatto con le emozioni percepite come “scomode”, portando anche all’accettazione di sé e alla costruzione di un’autostima non condizionale;
  • comportamentale, dove si acquisiscono strategie concrete di gestione dello stress e dei meccanismi perfezionistici.

La psicoterapia olistica ad indirizzo medico consente di intervenire simultaneamente sugli aspetti psichici e biologici, considerando l’interconnessione tra stati emotivi, risposte neurologiche ed assetti ormonali. La guarigione diventa quindi un processo di riequilibrio globale, che restituisce all’individuo la capacità di vivere con serenità e consapevolezza, trasformando il perfezionismo da ostacolo in opportunità di crescita personale.

Ricostruire l’autostima dall’interno: un percorso psicologico verso il sé autentico

L’autostima non condizionale rappresenta un paradigma psicologico rivoluzionario, dove il valore personale non viene più misurato attraverso performance, risultati o giudizi esterni, ma viene riconosciuto come una caratteristica intrinseca ed essenziale dell’essere umano. A differenza dell’autostima condizionale, dove la percezione del valore è indissolubilmente vincolata al raggiungimento di obiettivi specifici, questo approccio propone una visione di sé svincolata da parametri esterni di successo.

I principali elementi caratterizzanti l’autostima non condizionale includono:

  • Accettazione integrale di sé, compresi limiti ed imperfezioni
  • Riconoscimento del proprio valore indipendentemente dai risultati
  • Capacità di essere gentili con sé stessi anche dopo gli insuccessi
  • Consapevolezza che l’errore è parte del processo di apprendimento
  • Sviluppo di una narrazione personale basata sulla crescita, non sul giudizio

Sul piano psicologico, questo approccio determina una profonda trasformazione, spostandosi dal controllo all’accettazione, dalla paura al benessere, dalla prestazione alla realizzazione personale.


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Foto professionale della Dott.ssa Elisa Scala, medico psicoterapeuta a Novara
Ricevo a Novara e online

Medico psicoterapeuta

Sono iscritta all’Albo Professionale dei Medici dall’anno 2008 ed esercito la professione di Psicoterapeuta sia per mezzo di sedute online (via Zoom o Skype) che in presenza nel mio Studio privato vicino al centro storico di Novara.

Perché rivolgersi ad un medico psicoterapeuta?

Grazie alla sua duplice formazione medica e psicoterapeutica, un medico psicoterapeuta è in grado di valutare il paziente non solo dal punto di vista meramente psicologico, ma anche di considerare eventuali fattori biologici, medici e farmacologici che possono influenzare il disturbo, conflitto interiore o disagio portato dal paziente.

Questo permette una presa in carico olistica, in cui si possono trattare problematiche emotive, psichiche e fisiche in modo sinergico, personalizzando il percorso terapeutico per ottenere risultati più efficaci e duraturi.

I vantaggi tangibili per il paziente consistono in tempi mediamente più brevi rispetto alla psicoterapia tradizionale e senza limitarsi a quella che potrei definire come “terapia dell’ascolto”.

Dott.ssa Elisa Scala, medico psicoterapeuta a Novara